In queste ultime settimane, si è
sentito tanto parlare sui Social della STRANA vicenda di un giovane e
belloccio attore televisivo che non conosco (ah, i vantaggi di aver
gettato la TV due anni fa), il quale sarebbe incappato nella
disavventura di essere violentato da una donna. Condizionale
d'obbligo, perché non conosco gli eventuali sviluppi giudiziari
della vicenda e non mi interessa approfondire qui. Il mio obiettivo è
altro. Il belloccio, dopo la violenza, se ne è lamentato sui suoi
Social, ma si è visto vittimizzare, come spesso accade alle donne in
Tribunale, o presso i Servizi Sociali, o al momento della denuncia
presso le FFOO.
Solo che qui non si è trattato né di Tribunale, né
di Servizi Sociali, né delle FFOO. Si è trattato dei Social, ormai
assurti a Tribunali Pubblici dove chiunque si sente investito della
funzione di pontificatore. Di conseguenza, il personaggio pubblico
ha pagato lo scotto dello sfogo con una ulteriore vittimizzazione. Ma
con una differenza: lo è stato DI NUOVO proprio dalle donne.
Sorpresa? No.
Il codice genetico umano contiene il messaggio della violenza. Poi siamo noi cittadini, educati al buon senso comune,
dalla chiesa, dalla civiltà laica, che dobbiamo attivare i filtri
anti-violenza nel rapporto con l'altro. Ciò che sorprende invece, è
la qualità dei commenti che il giovane ha ricevuto da parte delle
“signore”, obbligatoriamente virgolettate. Del tono: Ecco, ora
sapete anche voi maschi cosa significhi subire violenza! O anche: Sei
bello! Cosa ti aspettavi? Oppure: Invece di godertela, piangi!
Frocio! Altre ancora: Così la paghi per tutte le donne che hanno
subito!
Come se un individuo, indipendentemente
dal sesso e dall'età, debba necessariamente subire ingiurie
psicofisiche di chichessìa, per il solo fatto di essere dotato di un
aspetto gradevole. Come se la persona in questione, per la sola
“colpa” di appartenere al genere maschile, vada additata come
capro espiatorio. Come se... e potrei continuare. Mi fermo qui perché
desidero esporre una tesi e sostenerla.
La tesi è che si sono
smarriti i valori fondanti del rispetto reciproco e della comunione
di spirito.
Oh sì, sarebbe facile tacciarmi di moralismo. Non è
moralismo, è buon senso, buona educazione, buone consuetudini,
cancellate dagli smartphone. Attorno a questa tecnologia, voglio
spendere un paio di considerazioni. Essendo stata costretta per
necessità economiche a vendere l'auto (ma ne sono ben felice),
viaggio solo coi mezzi pubblici cittadini, spesso anche in treno tra
una città e l'altra. Ne traggono beneficio ben due elementi fondanti
della mia vita: la lettura e la socializzazione. Su tutti i trasporti
assisto all'inverecondo spettacolo di persone piegate sui propri
smartphone, annullando l'attimo in cui vivono, pur di restare in
contatto con realtà ALTRE.
Poi c'è chi si domanda perché siamo
tristi. Perché, nonostante la situazione politico economica del
nostro amato odiato Paese, non scoppi la rivoluzione. Perché NON CI
SI PARLA PIU'! Si condivide solo sui Social! Anch'io in questi ultimi
anni avevo ceduto, lo confesso. I Social per me rappresentano
un'opportunità di lavoro che sto cercando di sfruttare al meglio. Ma
quando sono in compagnia, a pranzo, a cena, in palestra,
SPENGO/STACCO. Addirittura, se viaggio, preferisco l'approccio con
gli sconosciuti piuttosto che restare impastoiata nello smartphone! E
sempre, ribadisco, SEMPRE trovo persone disponibili a chiacchierare,
aperte all'altro, si stupiscono di come sia facile condividere dal
vivo! Temo di aver individuato perciò la causa della perdita dei
valori fondanti del rispetto reciproco e della comunione di spirito
proprio nell'estremizzazione dell'utilizzo di smartphone. Il fatto che tutti
vogliano socializzare su Facebook, nessuno più nella vita vera,
porta solo alla disperante solitudine, alla paura dell'altro, alla
mancanza di autostima, allo svanire del rispetto reciproco tra
individui.
Da qui alla violenza verbale è un passo da formica, a
quella fisica manca poco. Impariamo a staccarci dagli smartphone, ad
aprirci all'altro. Vedremo migliorare le nostre vite, anche se in
piccolo. Ma le grandi rivoluzioni, come la felicità, hanno i loro
semi nelle piccole cose.
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