Uso Facebook come strumento di lavoro.
Vi promuovo il mio saggio CORPI RIBELLI – resilienza tramaltrattamenti e stalking, sorta di manualetto pratico, agile, con
rimandi e approfondimenti al web, non pietista, né voyeurista,
nemmeno vittimista, proattivo, propositivo, femminista ma con un
occhio al genere maschile, perché la violenza sulle donne è un
problema degli uomini. Tante volte, anzi, ho raccolto testimonianze
di uomini maltrattati dalle donne. Creo consenso attorno
all'argomento, spesso incontro prima virtualmente, poi dal vivo,
persone, donne e uomini, ma soprattutto donne, interessate
all'argomento. Tante di loro sono impastoiate in situazioni di
violenza familiare, sia fisica che psicologica, alcune stalkizzate da
ex partner, poche ne sono già uscite, ma ancora ricordano le ferite.
Alcune invece sono combattenti come me, agiscono professionalmente
nell'ambito, chi impegnata come operatrice di centri anti-violenza,
chi in azioni politico/sociali persino in parlamento, chi legalmente,
chi medicalmente. Gli uomini coinvolti, invece, sono pochi: coloro
che hanno subito, preferiscono non denunciare e dimenticare. Altri,
(tre!) sono operatori come il Commissario Capo della Polizia Locale
fondatore del Nucleo Tutela Donne e Minori, o il Criminologo Clinico
che ha attuato un programma di recupero per Sex Offenders già
condannati, in carcere ad espiare la pena, o ancora l'ex Carabiniere,
oggi Investigatore Privato, che fu il primo ad attuare l'arresto di
un pedofilo in Italia. Più i B.A.C.A., uno stuolo di Motociclisti
che si è assunto l'incarico di tutelare i minori abusati, che fa
gruppo a sé perché la loro missione è palese. Mentre gli uomini in
generale, (e le donne B.A.C.A.) accettano volentieri tag da parte mia
per essere aggiornati, le altre donne NO. Tutte le altre donne, senza
distinzione tra vittime e operatrici. Potrei capire le vittime, in
quanto tutt'ora sotto violenza, non vogliono attirare le attenzioni
del picchiatore/violentatore/stalker su di sé. Per queste ultime è
prassi normale che mi cancellino dalle loro amicizie. Ma le
operatrici, siano esse volontarie, o professioniste affermate,
giornaliste, parlamentari, avvocate, psicologhe, non si fidano. Non
vogliono tag. Non leggono. Non commentano. Per correttezza, non
faccio nomi. La giornalista impegnata contro le violenze di genere
non vuole essere taggata nelle mie note. Eppure ha gradito che le
inviassi il mio saggio, ovviamente gratis. La parlamentare
addirittura un giorno recente, mi contattò in pvt per chiedermi
spiegazioni sulle mie posizioni secondo lei contraddittorie. Da una
parte, avevo commentato favorevolmente ad una sua osservazione circa
la lotta contro le violenze maschili sulle donne, dall'altra avevo
commentato pure favorevolmente il post di una comune amicizia, una
donna illustratrice, che prendeva posizione contro la violenza
femminile sugli uomini. La parlamentare non capiva come potessi
azzardarmi a cotanta contraddizione. Mi chiese persino, con malcelata
arroganza, CHI FOSSI IO, da che pulpito parlassi, quando in realtà è
scritto dappertutto, non solo sul blog, non solo sul libro di cui le
avevo fatto omaggio, ma persino sulla Rete. Qui le mie motivazioni che le argomentai. Capisco che una donna
possa essere impegnata a tal punto da non poter leggere un libello di
100 pagine (solo due sono dedicate alla mia storia personale), ma
diffido da chi non assume informazioni prima di aprire bocca. Quanta
amarezza quando si scopre di lavorare per le donne e poi coglierne la
diffidenza, se non addirittura l'opposizione! In occasione della
giornata internazionale contro la violenza di genere, 25 novembre,
sono entrata in contatto con una sociologa residente qui, nella
cittadina dove vivo nella bassa bergamasca, tramite un giro che è
partito dalla bibliotecaria, passando attraverso un'assessora. Prima
di parlare con lei, ho condotto una ricerchina sul web. Ho trovato il
suo blog, con pensieri personali, curriculum strepitoso, studi,
carteggi, pubblicazioni varie, corsi. Ho capito di trovarmi di fronte
ad una studiosa seria ed eccelsa che aveva fatto del femminismo il suo stile di
vita. L'ho contattata dapprima via e-mail, spiegandole in breve come
avessi fatto a reperire i suoi contatti. Mi ha chiamata con fare
sospettoso. Chi ero io, da poco rientrata in quella cittadina, da ottenere così tanta attenzione dalle istituzioni, mentre lei,
sessantenne, impegnata da circa una quarantina di anni, non ne aveva
mai ottenuta? Molto modestamente gliel'ho spiegato anche a voce. Le ho
offerto il mio saggio gratis, che sarei stata onorata di depositarlo direttamente nelle sue mani. Mi ha detto di lasciarlo in un dato
posto, perché non aveva tempo di ricevermi. La classe. In seguito,
proprio l'assessora che stava creando un evento nella cittadina per
il 25 novembre, proprio con la studiosa ed un'altra, psicologa
operatrice di un centro antiviolenza di Bergamo, si è stupita della
mia intraprendenza. Volevo donare anche a lei il mio saggio. Mi ha
ricevuto frettolosamente nell'atrio del comune, trattandomi con
sufficienza. Quando ci siamo congedate, manco mi ha salutato. Durante
l'evento da lì a pochi giorni, con larga partecipazione maschile, ho
preso parola nell'assemblea e mi sono presentata. Ho raccontato la
mia storia di dolore e di resilienza. Tutti hanno taciuto, le tre
relatrici comprese. Le avevo rapite. Al termine, mi hanno battuto le mani, piacevolmente sorprese.
Poi le due che avevano già avuto contatti con me, si sono scusate.
L'assessora mi ha lasciata con la promessa di un evento nella
primavera 2015. Tre anni fa avevo un altro account su Facebook, eccolo qui, attivo ma impossibile per me accedervi, perciò NON chiedetemi l'amicizia, con
cui gestivo un gruppo segreto di donne maltrattate, detto GLOSS,
acronimo di Gruppo di Lavoro e Osservatorio Sessismo e Stalking. Questo il video che realizzai anni fa per presentare il gruppo. Click qui per vederlo. Ci
piaceva pensarci scintillanti o perché curate nell'aspetto per
risollevare l'autostima, o perché lucidate a suon di botte. Ne ero
amministratrice e, in quanto tale, DOVEVO garantire loro la privacy,
quindi, prima di farle accedere, le intervistavo o dal vivo o via
Skype. Nel gruppo, che riuniva maltrattate ed operatrici
professioniste dell'ambito, le donne avevano libertà di espressione,
raccontavano le loro esperienze senza sentirsi giudicate, ma casomai
ascoltate da orecchie pensanti e formate. Spesso traevano ispirazione
e fiducia da quelle che, prima di loro, ne erano passate attraverso.
Io ne ero la moderatrice. Tra di loro, ne ricordo in particolare due,
con atroci storie personali e una terza, operatrice volontaria in un
centro. Una, sarda, sulla trentina, aveva subito stupri ripetuti
dallo zio e dagli amici di questo zio, che ne ricavava compensi. Mai
denunciati, mai entrata in cura da specialisti. Le permisi di fare
parte del gruppo dopo averla intervistata via Skype. La seconda, del
Trentino, sui 35, era stata stalkizzata due volte dallo stesso uomo,
che “per amore”, la costrinse a perdere non solo la sua attività
artigianale, ma finanche tutti i suoi averi. Ne scrisse un libro, che
ho acquistato volentieri e ho letto. Ebbene, la sarda approfittò di
una mia debolezza di salute (entrai in coma) per inventarsi che le
avevo conferito la delega di gestione del gruppo. Ne fece scempio,
giudicando e criticando le poverette. La seconda, la vedo ancora su
Facebook cercare consenso tra donne. Ma non lo ottiene. Ogni volta
inveisce contro, sentendosi rifiutata. La terza, invece, l'ho
ritrovata un paio di giorni prima di Natale su Facebook gestire una
pagina che promuove le tematiche femminili. Con un post mi sono fatta
riconoscere, riuscendoci. Le ho proposto di scambiarci nuovamente
l'amicizia. Ha declinato.
Morale: siamo state così a lungo
vituperate, schiacciate, annientate, disabituate a lottare unendo le
nostre forze, che ci guardiamo persino tra di noi con sospetto. Ma io
non desisto. So che ci sono donne che hanno voglia di rimboccarsi le
maniche per fare del bene. Le cerco e le trovo!
Grazie a Dio, e non è solo un modo di
dire.
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