venerdì 18 dicembre 2015

EZIOLOGIA DEL FEMMINICIDIO

Tra ottobre e novembre, come ogni anno, si moltiplicano gli eventi legati alle donne, al rispetto della loro diversità, ma soprattutto alla lotta contro le violenze di qualsiasi natura. A fine ottobre, nella sala consigliare del comune di Oulx, in Alta Valle di Susa (TO), presenti le mie compagne di fede buddista, Maria Luisa Chiavassa nascosta da Federica  Giovannini, che sorride, alla sua sinistra, Eliane Doré, detta Lilly.  si è svolta una conferenza tenuta da una Sociologa dell'Università Autonoma di Ciudad Juárez e attualmente professoressa invitata dall’Università di Torino,Martha Estela Pérez.

Messicana, minuta, aggraziata, ma determinata, nel corso degli ultimi anni si è dedicata allo studio delle violenze perpetrate in questa piccola città del Messico, tristemente nota al mondo per l'efferata eliminazione di centinaia (CENTINAIA) di donne ogni anno.





Martha ci spiega come Ciudad Juarez in pochi anni si sia evoluta nella quarta città più grande del Messico, al confine con gli U.S.A., dunque in posizione strategica per il narcotraffico e per traffico umano. Tale posizione la rende una delle città di frontiera tra le più pericolose al mondo.
Cresciuta rapidamente grazie ad un trattato di accordi economici tra Canada, U.S.A. e Messico nel 1993, che prevedeva l'installazione e l'avvio di industrie produttive del Nord America proprio in Messico, Juarez ha raggiunto i due milioni di abitanti in poco tempo. Di questi due milioni, circa il 50 per cento vive in condizione di emarginazione, ai limiti della povertà.
A Ciudad Juarez il caos è la regola, non l'eccezione.

La principale forma di reddito per la popolazione proviene dalle industrie elettroniche per tv ed apparecchi paramedici, nate grazie al trattato del '93. Quasi tutti gli operai sono donne, perché, come sottolinea Martha non senza un certo sarcasmo, hanno maggiori capacità di manualità fine, ufficialmente si suppone che le donne vadano a creare meno problemi in ambiente lavorativo. In poche parole, sono più docili. Scommetto che avete già sentito queste considerazioni anche in Italia.

Dal 1993 a oggi, 8 mila sono i corpi trovati, tra poliziotti, delinquenti, donne. Donne. Giovani, di pelle scura, di famiglie povere, lavoratrici di queste industrie, strangolate, sono le prime donne che cominciano ad apparire dopo il trattato del 1993. Sequestrate. Torturate. Assassinate. Da questo dato, si desume quanto il rispetto per la vita sia un sogno lontano, perché la linea tra legalità e illegalità è fatta di sangue.

Con questa strage di donne, è qui a Ciudad Juarez che è coniata la parola FEMMINICIDIO

Un fatto su tutti. Nel campo detto Algodonero in un giorno del 2003 sono stati reperiti 8-10 cadaveri di donne (il numero non è preciso: i cadaveri erano smembrati) con le stesse caratteristiche. Vale la pena ripeterle: giovani, di pelle scura, di famiglie povere, lavoratrici di queste industrie nate dal trattato del '93, strangolate. Sequestrate. Torturate. Assassinate. Secondo la testimonianza della sociologa, pare che nel giro di una notte, sotto gli occhi della polizia, nel campo Algodonero i cadaveri siano cresciuti fino al numero di 14. Sotto gli occhi della polizia!
A chiunque apparirebbe evidente la connivenza tra narcotraffico, traffico umano e polizia.

Martha ci racconta anche come le donne di Juarez si siano ribellate in coro ai soprusi, alle sevizie, alle torture, agli strangolamenti, ai femminicidi, fino alla cattura di quelli che sospettiamo siano solo capri espiatori, ai quali sono state comminate pene esemplari. Nessuno vuole criticare l'operato della Giustizia di Juarez, ma 14 cadaveri in un campo sotto gli occhi della polizia parlano di ben altro. Anzi, URLANO.

Alla fine della conferenza della sociologa Martha Estela Pérez nasce spontaneo un dibattito, in cui si valuta l'incidenza della parola femminicidio nel paragone tra realtà come Ciudad Juarez e la nostra italiana. Pur consapevoli dell'orrore che suscitano entrambe, sono accezioni totalmente diverse. Là in Messico, si sono individuati alcuni colpevoli seriali che rivolgono le loro attenzioni a determinate vittime, occupanti uno specifico strato sociale. Qui in Italia, il femminicidio avviene tra le mura domestiche ed è trasversale. 

Non smetterò mai di urlare il motto di CORPI RIBELLI - resilienza tra maltrattamenti e stalking: VIA DALLE VIOLENZE DOMESTICHE PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI!




lunedì 7 dicembre 2015

EMILIA ROMAGNA, UNA REGIONE ATTIVISSIMA

Frequento spesso eventi letterari per svagarmi ed arricchirmi. Nel mese di Maggio 2015 mi sono recata alla prima edizione del Festival della Poesia di Mantova. Grazie ad una nuova amicizia maschile, che ora si è persa nei meandri della vita, avevo da poco scoperto quella città, patria di quel Virgilio Nazionale che diede il via alla tradizione poetica italiana. Così quando venni a sapere del Festival, non mi feci sfuggire l'occasione di tornarci. Da sola. L'amicizia maschile infatti era impegnata in uno dei suoi immancabili (a suo dire) eventi sportivi. Che comunque tolleravo, perché ad alto indice di gradimento (e di sopportazione).

Avevo reperito un ottimo B&B di cui volli sperimentare l'ospitalità e non me ne pentii (a tal punto che ne parlo in altro mio blog dedicato ai viaggi fai da te). Pensavo di essermi recata a Mantova per puro diletto, invece. Ora vi racconto perché.Vi erano vari Readings sparpagliati nei luoghi artistici della città di poeti VERI, alcuni misconosciuti, ma altri assurti da tempo a fama internazionale. Ho fatto i migliori acquisti di carta stampata degli ultimi anni. Ma gli acquisti migliori si sono rivelati di natura umana. Tra i poeti misconosciuti, vi era una sindacalista femminista, tale Met Sambiase, che ora non ama più farsi chiamare Met, ma Simonetta. Un percorso formativo presso l'Accademia d'Arte, le ha acceso un forte interesse verso ogni forma artistica ed espressiva. E' presidente dell'Associazione Culturale ExospherePoesiArtEventi  prendendo il nome dallo strato più esterno dell'atmosfera, quello che va a fondersi con lo spazio interstellare, dove le particelle gassose che raggiungono e superano la velocità di fuga (11,2 km/s) non partecipano più alla rotazione terrestre e si disperdono nello spazio.In questi mesi di frequentazione del blog di Simonetta, mi sono spesso chiesta il senso di questa scelta. Grazie a vaghe reminiscenze astronomiche liceali confermate da Madre Wiki, ora lo so. Ebbene, ci scambiammo i contatti, in vista di femministe collaborazioni future. Il momento arrivò intorno alla metà di ottobre, quando Simonetta via Facebook, mi chiese il numero di telefono perché stava organizzando un evento col sindacato di appartenenza, per celebrare la giornata mondiale contro la violenza sulle donne, il 25 novembre.Come sempre accade quando sono Enti pubblici o Organizzazioni private, nessuna ricompensa sarebbe stata prevista dal sindacato, ma ho azzardato la richiesta di un rimborso spese. Mi è stato concesso e io mi sono organizzata perché da Bardonecchia, dove vivo da un mese, raggiungessi Reggio Emilia in treno. Viaggio di non indifferente entità, ma ormai è la mia missione e non posso tirarmi indietro. Certo, l'occasione è gradita per vendere CORPI RIBELLI – resilienza tra maltrattamenti e stalking. Ma tenete presente che sul prezzo di copertina, a me è riservato un guadagno pari ad 1 euro. Solo un autore italiano è riuscito a diventare milionario a furia di vendere libri col guadagno di un euro alla volta, ma il suo nome era già famosissimo grazie alla tv ed a un varietà che aveva spopolato. Il suo nome era Giorgio Faletti. Il suo libro: IO UCCIDO.Qualcosa mi dice che un libro no-fiction e che tratta argomenti pesantucci, scritto da una illustre sconosciuta come me, non farà altrettanto successo. Se aggiungete il fatto che è dedicato a donne che fanno fatica a riconoscere la violenza e che, quando ci riescono, non si allontanano dal loro picchiatore, allora dedurrete che CORPI RIBELLI non mi farà ricca come fece IO UCCIDO per Faletti. Pazienza. Non sono così ipocrita da negare che la ricchezza economica mi farebbe comodo, ma non sono così veniale da rifiutare quella interiore che mi deriva dalla mia missione. E così parto per questa nuova avventura in quel di Reggio Emilia. Nel giorno in cui gli amici ed amiche di Facebook si scatenano con status in cui aborrono la celebrazione della giornata contro la violenza sulle donne, quasi con sgomento snobistico, o poetessi (provocazione femminista), come gli ottimi Vera Bonaccini o Marco De Angelis, i quali vorrebbero che sostanzialmente meno apparenza e più impegno OGNI GIORNO (come non capirli!), assieme ad un gruppetto di sindacaliste io allestisco l'Auditorium Simonazzi, messo a disposizione dalla CISL in quel di Reggio Emilia. Arrivano alla spicciolata relatori e astanti. Ci si presenta, si chiacchiera amabilmente. C'è un'atmosfrea rilassata ma grintosa. Mi viene presentata per prima la relatrice Margherita Salvioli Mariani, dal viso deciso e i capelli cortissimi, dall'aspetto nature ma curata, Segretaria della CISL Emilia Centrale, che snocciolerà i dati statistici, molto neutrali, ma sempre dolorosi: 220 donne che hanno subito violenza solo in Emilia, di cui 100 morte ammazzate. La dottoressa Salvioli Mariani, però, mette l'accento su altro tipo di violenza, quella che permea il mondo lavorativo quando i riconoscimenti (anche economici) riservati alle donne, non sono mai pari a quelli degli uomini. 

Sopraggiunge un'altra bella e curata donna, molto truccata, con tailleur e capelli lunghi lisci, l'avvocata Roberta Mori, Presidenta (altra provocazione femminista) della Commissione Regionale di Parità, impegnata nella promulgazione di norme e regolamenti atti a combattere le discriminazioni di genere, ovunque si verifichino, dall'ambiente di lavoro, alla medicina. E' orgogliosa della legge quadro del 27 giugno 2015 contro le discriminazioni di genere in Regione Emilia Romagna, che tutti i presenti auspicano diventi modello per una legge nazionale. Perché: “La violenza sulle donne è solo la punta di un iceberg che poggia su discriminazioni molto forti. Che vanno sconfitte con l'alleanza di tutta la Società”.In questa prima fase, per ultima interviene la dottoressa Roberta Pavarini, una biondina, ma determinata, che è Presidenta della Commissione Partecipazione, la quale sottolinea la funzione educativa che devono avere le istituzioni pubbliche a partire dalla Scuola, nella prevenzione delle violenze sulle donne. Racconta con orgoglio come un quartiere di Reggio ritenuto per anni disastrato dal punto di vista del tessuto sociale, sia rinato grazie alla forza e alla collaborazione delle sue abitanti donne.Intanto che aspettiamo di cominciare, mi intervista una giornalista de LA GAZZETTA DI REGGIO. Mi rivolge le domande classiche cui rispondo volentieri a profusione, perché mi sento una vera e propria educatrice in questo ambito, come recita il senso del mio cognome. Sono infatti convinta che la nostra società abbia bisogno di educazione prima di prevenzione. Qui vorrei inserire un concetto un po' rivoluzionario. Questo ruolo educativo preventivo pare sia affidato in primo luogo a noi donne, in quanto madri di coloro che da grandi potrebbero rivelarsi picchiatori. Se infatti educassimo i nostri figli MASCHI al rispetto della donna fin dai primi mesi di vita, dubito che da grandi non lo facciano. Quindi la prevenzione parte da noi donne. Quindi, se gli uomini adulti picchiano le donne, le prime misogine siamo noi donne che non gli abbiamo insegnato i filtri culturali necessari a frenarsi. Se mi leggessero femministe, vorrei confutassero questa mia affermazione. Ma mi sento confortata dalle presenze femminili al tavolo dei relatori (tranne un uomo, messo lì per rappresentanza, solo in funzione del fatto di essere alto dirigente del sindacato): tutte impegnate nel sociale, tutte combattenti, tutte con funzione educativa preventiva.Inizia la fase due del convegno. Al tavolo delle relatrici, è la volta di Simonetta, che mi introduce, e la mia, che racconto. Da parte del pubblico c'è sentita partecipazione, non solo emotiva, ma soprattutto intellettuale. Se, da una parte, vedo i volti di alcuni uomini sbiancare alla narrazione delle violenze subite, segno di vergogna per le memorabili gesta del loro sesso, dall'altra le donne mi rivolgono dalla platea alcune domande birichine, forse con la speranza di mettermi a disagio, provocando in me una reazione di sfida. Non chiedo di meglio. Una signora mi chiede: Come ha fatto per la casa? Ebbene, ho necessariamente testimoniato quando, pur essendo cattolica praticante, con una bimba disabile al collo, pestata a sangue, senza lavoro, senza casa, feci il giro delle istituzioni religiose di accoglienza in Milano e mi vidi rifiutare un qualsiasi sostegno. Noto parecchi astanti sussultare. Alla narrazione di come mi sono tirata su le maniche per reinventare da capo la mia vita da zero, ho visto qualche lacrima scorrere.Vorrei invece che mi chiedessero in particolare: Perché le donne in Italia non scendono in piazza, come invece succede a Ciudad de Juarez in Messico? Me lo chiedo anch'io! Non sono psicologa, ma suppongo che le motivazioni vadano rintracciate in archetipi junghiani. Come anche credo che questo non sia il luogo adatto per sviscerare, sebbene abbia fatto qualche tentativo qui e, meglio ancora, qui. In generale, risponderei facendo riferimenti politici (dal golpe di Renzi alla nostra mancanza di responsabilità nella Cosa Pubblica), al fatto che gli organi di informazione ci vogliono ottenebrati, a partire proprio dalle violenze sulle donne, che, secondo loro, sono sempre perpetrate da extra comunitari, mai in famiglia, quando invece la maggior incidenza di causa di morte per le donne non è il cancro, non è l'infarto, ma è il femminicidio da parte di un partner. Finché i Mass Media useranno termini come: omicidio della passione, raptus della gelosia, mai nessuno saprà la verità.



giovedì 3 dicembre 2015

STANDING OVULATION

Ebbene sì, vi rivelo il titolo del libro che sortirà da questo blog.

STANDING OVULATION perché il vero sesso forte siamo noi donne.

Ho trovato a chi appoggiarmi per l'edizione SELF PUBLISHING.


Un sito dove ho reperito consigli pratici e costi ragionevoli, ideato e sostenuto dal Self Publisher Derek Murphy!

venerdì 20 novembre 2015

RISCATTO DA DRAG QUEEN

    A settembre del 2012 conosco virtualmente una Drag Queen via Facebook tramite amicizie comuni. In ottobre chattiamo. Avendo letto la mia vecchia pagina de L'INVIATA SPECIALE DELLE DONNE MALTRATTATE, che ai tempi offriva la possibilità alle donne maltrattate di farsi intervistare da STRISCIA LA NOTIZIA (parliamo del 2011), un progetto naufragato per più concause, la Drag Queen si lascia andare a confidenze esplosive che rivelo solo oggi, dopo averla conosciuta dal vivo. Non farò come di consueto i nomi di nessuno, sebbene sia convinta che i Sex Offenders non abbiano diritto all'oblio.

    Eh sì, sex offenders (ora lo scrivo minuscolo in quanto non meritano rispetto), perché la Drag Queen, da ragazzo, tra i 7 e i 14 anni, fu oggetto delle particolari attenzioni del suo maestro di nuoto, un pedofilo.
    In chat, esordisce dicendo che il suo apprezzatissimo personaggio, che fa tante serate in giro per il Nord Italia, rappresenta “ il riscatto socio-cerebrale delle donne che hanno lasciato un semino dentro di me, IL MEGLIO DELLE DONNE CHE AMO, parolacce comprese!” A questo proposito, chiedo scusa per il turpiloquio in arrivo. Non sono parole mie, ma sue, che lascio in onore alla VERITA'.

    Colgo però anche amarezze in questa sua successiva affermazione: “Mi sono bruciato tutte quelle bellissime prime volte”. Lo correggo: Ti ha bruciato, non “mi” sono bruciato. Tengo molto all'autostima dei miei intervistati. Ma capisco che non ha bisogno di essere incoraggiato. Infatti, anni dopo, (compiuti i 27) ha saputo reagire molto accortamente. Pare che il suo maestro di nuoto, voglio ricordarlo: gay represso e pedofilo, si sia nel frattempo sposato, abbia generato due bambine e che stesse arrivando a loro due.

    Un pedofilo è un pedofilo. Per quanto possa essere intelligentissimo e bello, non guarda in faccia nessuno, neanche la figliolanza. Quando ascolto queste tragedie, la mia reazione immediata è: stacchiamoglielo a morsi. Gli chiedo se avesse capito cosa gli stesse facendo, se l'avesse denunciato, se avesse raccontato a qualcuno degli abusi.

    La Drag Queen afferma di sapere assai bene cosa gli facesse. Ricorda che ai tempi giocava a Barbie di nascosto, che andava in piscina da solo a 7 anni, di essere indipendente, perché nella sua famiglia c'erano altri problemi, a partire dai genitori anziani ed un po' ignoranti ai quali non ha mai raccontato nulla, perché non avrebbero capito. Aggiunge non solo di non averlo mai querelato, ma addirittura di non essere mai andato da uno psicologo. E di attendere pazientemente il suo riscatto. 

    Che arriva sullo squallido piazzale dove faceva volantinaggio per l'Arcigay locale (“Odiavo 'sti posti, ma ho conosciuto un pacco di gente, mai salito su una macchina, neanche un pompinello di striscio, giuro!”) dove arriva il pedofilo-gay represso. Racconta: “Un paio di battute audaci, lo aggancio. Me lo sono scopato violentemente a sangue, gli ho fatto male, sì! Calcola che io sono 54 kg per 178 cm di altezza, praticamente un fuscello! Ma gli piaceva, oh se gli piaceva! Ci ho infilato la mano in culo con le unghie! Poi dicono che i gay sono sensibili, altro che vaselina, questo ci voleva 'na manciata di ghiaia per fare attrito!”. Ma la vendetta non fu questa. Ben altre rivelazioni la Drag Queen aveva in serbo per il suo molestatore. 

    Continua il racconto: “Non gli ho detto chi ero e non si ricordava affatto chi fossi. Sceso dall'auto per fumarsene una, gli ho detto che ero positivo all' HIV. Anche se non era vero, è scappato!”
    Ma non finisce qui. Quel Diavoletto della Drag Queen, dopo un mese scopre che il sex offender era sposato con una sua amica carissima. Infatti caso vuole (ma il caso non esiste) che proprio questa amica gli chieda un consulto gayo circa strani disegni che le figlie facevano di uomini con i collant, per mano a loro. Diabolicamente si fa invitare a cena, così chiarisce davanti a tutti, suoceri vari compresi. Ora il pedofilo vive in Svizzera sotto stretto controllo medico. La Drag Queen dice: “Credimi che non è un film. Lei e lui già vivevano lontani per lavoro e lui le aveva fatto credere che aveva una tipa da qualche parte... Seee, coi basettoni e l'uccello, vabbè!”
    Fortuna la sentenza del Tribunale dei Minori svizzero ne ha stabilito l'allontanamento, gli impedisce di vedere le bambine da solo, gli impone di essere chimicamente impotente e di assumere appositi farmaci che gli inibiscono la libido. La Giustizia a volte funziona, sebbene io insista che avrebbero dovuto staccargli direttamente il pisello a morsi. Scusate se sono trucida, ma se toccano i bambini esce il peggio di me.
La Drag Queen afferma che fino a quel giorno aveva avuto diversi complessi sessuali. Ma ora è felice di aver ottenuto il suo riscatto attraverso la protezione preventiva delle bimbe e ”Tromba tranquillo come un riccio!”

Se ci fossero stati i B.A.C.A. ad aiutarlo ai suoi tempi, forse non avrebbe patito disturbi, chissà...

Sebbene non abbia fatto il suo nome, sono certa che leggerà questo post. Quindi gli dedico questa canzone, magari suggerendogli un nuovo travestimento!





venerdì 23 ottobre 2015

ARTEMISIA GENTILESCHI

Il mio nome è Pastori, Stefi PASTORI, come quelli delle pecore. Voglio sottolineare l'importanza del cognome. Il cognome è la nostra missione, come dice un antico adagio Nomen Omen. Conduco verso la salvezza le pecorelle smarrite nelle violenze in casa. Perché il mio motto per loro è: VIA DALLE VIOLENZE DOMESTICHE PRIMA CHE SIA TROPPO TARDI. Ho scritto un saggio contro i maltrattamenti in famiglia. Titolo: CORPI RIBELLI– resilienza tra maltrattamenti e stalking. E' una vera e propria guida per uscirne perché contiene nomi e recapiti di coloro che salvano le donne maltrattate. Ma non sono qui per parlarvi di questo.

Sono qui per parlarvi di Artemisia Lomi, detta Gentileschi, antesignana del femminismo. Premettendo che essere femminista non significa necessariamente essere lesbica, frigida o camionista, affermo con forza e determinazione di essere femminista. Nonostante certe illazioni strumentali reperite sul web nei circoli lesbici, forse legati ad un episodio della sua vita, quello che la vede coinquilina nonché amica di una ex vicina di casa, che poi ha dipinto nei suoi quadri, la Gentileschi non fu dedita all'amore lesbico. Anzi, i suoi liberi costumi sessuali sono noti a tutti fin dagli anni della sua gioventù.
Giuditta che decapita Oloferne. Ora, vi chiedo di osservare questo quadro, conservato al Museo Nazionale di Capodimonte. De la Giuditta che decapita Oloferne, un noto critico d'arte, certo Longhi scrive:
La lettura del dipinto sottolinea cosa significhi saperne di pittura, e di colore e di impasto: sono evocati i colori squillanti della tavolozza di Artemisia, le luminescenze seriche delle vesti (con quel suo giallo inconfondibile), l'attenzione perfezionistica per la realtà dei gioielli e delle armi.

Io, che fui Art Director nelle più importanti Agenzie Pubblicitarie di Milano, ho qualche strumento atto a definirlo, pur nella sua crudezza, opulento nelle persone, nelle vesti e nei gesti rappresentati. Opulento.

Spegniamo l'opera, perché ora vi leggerò parole di Artemisia Gentileschi, poi vi mostrerò di nuovo questo quadro e so che lo vedrete con occhi diversi.

« Serrò la camera a chiave e dopo serrata mi buttò su la sponda del letto dandomi con una mano sul petto, mi mise un ginocchio fra le cosce ch'io non potessi serrarle et alzatomi li panni, che ci fece grandissima fatiga per alzarmeli, mi mise una mano con un fazzoletto alla gola et alla bocca acciò non gridassi e le mani quali prima mi teneva con l'altra mano mi le lasciò, havendo esso prima messo tutti doi li ginocchi tra le mie gambe et appuntendomi il membro alla natura cominciò a spingere e lo mise dentro. E li sgraffignai il viso e li strappai li capelli et avanti che lo mettesse dentro anco gli detti una stretta al membro che gli ne levai anco un pezzo di carne »

Questa la testimonianza diretta di Artemisia Gentileschi al processo di stupro, secondo le cronache dell'epoca, conclusosi nel 1611. Tenete a mente l'anno, vi verrà utile tra poco: 1611. Per inciso, vi confesso che la prima volta in cui lessi le sue parole, piansi.

Ora so che riguardando la tela, Giuditta che decapita Oloferne (1612-13), avrete un diverso moto dell'anima. Vi prego di rilevare quanto sia impressionante la violenza della scena. Specialmente dopo aver ascoltato la testimonianza dello stupro!
La data del processo: 1611. La tela: tra il 1612 e il 13. Ora, se sapete che la Gentileschi fu stuprata PRIMA DELLA TELA, sapete anche che l'opera è stata interpretata in chiave psicologica e psicoanalitica, come desiderio di rivalsa rispetto alla violenza subita. Più che rivalsa, la chiamerei RESILIENZA.
RESILIENZA, ovvero quella capacità intrinseca all'animo umano di trasformare il dolore e la sofferenza, anche la più atroce, in ricchezza interiore. Perché tutta la storia della Gentileschi parla di RESILIENZA.

In una società come quella del XVII secolo in cui alle donne era fatto divieto di accedere alle scuole di bottega per diventare pittrici, immaginate quanta sofferenza debba aver assorbito la Gentileschi nel sapere che, durante il processo di stupro, gli accoliti dello stupratore insinuarono nella mente dei giudici e nell'opinione pubblica tanti dubbi circa la sua virtuosità. Con false testimonianze, l'accusarono di essere una donna dai facili costumi e dedita alla promiscuità sessuale. Che se la intendeva persino col padre.

Considerate che quella fu un’epoca in cui una donna già deflorata non poteva essere considerata vittima di stupro! Infatti, studi recenti hanno rilevato che nel Seicento il processo era basato sul concetto di stuprum, inteso come deflorazione di donna vergine o come rapporto sessuale dietro promessa di matrimonio non mantenuta. Il padre di Artemisia denunciò un suo collega (un certo Tassi, non lasciamo all'oblio i nomi dei sex offenders, vi prego!) che dopo la violenza non aveva potuto rimediare con un matrimonio riparatore. Quel Tassi difatti era già sposato (e nel frattempo manteneva anche una relazione incestuosa con la sorella della moglie). Del processo che ne seguì è rimasta esauriente testimonianza documentale, che colpisce per la crudezza del resoconto di Artemisia e per i disumani metodi inquisitori del tribunale.

La Gentileschi ha avuto non solo il coraggio di testimoniare, ma persino di sottoporsi allo schiacciamento dei pollici per confermare l'attendibilità delle sue accuse, cosa che per lei, pittrice, non dovette essere solamente umiliazione e dolore fisico.

Se pensiamo che ancora oggi le donne stuprate o vittime di violenza non hanno il coraggio di denunciare, possiamo davvero far assurgere la figura della Gentileschi all'empireo delle eroine (qui mi venne da scrivere EROI, pensate come il linguaggio stesso sia imbevuto di misoginia! Ad esempio, avvocato per definire una donna avvocata, consigliere per una donna consigliera, assessore per una donna assessora, presidentessa per una presidenta – lo so, quest'ultima è mera una provocazione - Questo argomento meriterebbe una serie di considerazioni a parte!)

Un paio di fugaci considerazioni in merito: tutt'oggi, le donne che denunciano stupratori, spesso NON SON CREDUTE. Più spesso di quanto sia lecito credere, sono sottoposte alla gogna mediatica (un esempio su tutti: giornalisti che le accusano di vestire discinte) e persino a quella di coloro che invece dovrebbero essere preposti alla loro tutela (carabinieri che nel raccogliere la querela, la sottopongono ad interrogatori lunghi e stressanti), o peggio davanti al Giudice (avvocati in difesa dello stupratore che, alludendo a presunti comportamenti libertini, le criticano). In definitiva subiscono una seconda vittimizzazione. Esattamente come accadde ad Artemisia Gentileschi 4, sottolineo QUATTRO secoli fa.

Gli atti del processo (conclusosi con una lieve condanna del Tassi) hanno avuto grande influenza sulla lettura in chiave femminista della figura di Artemisia Gentileschi.
Infatti, negli anni settanta del novecento, la Gentileschi diventò un simbolo del femminismo internazionale e del desiderio di ribellarsi al potere maschile. Contribuirono all'affermazione di tale immagine la sua figura di donna impegnata a perseguire la propria indipendenza e la propria affermazione artistica contro le molteplici difficoltà e pregiudizi incontrati nella sua vita travagliata.
Quindi, non solo lo stupro, ma anche il coraggio di scelte libertarie pre e post violenza ci consentono di guardare alla Gentileschi come modello di resilienza.

Pensate che per una donna all'inizio del XVII secolo dedicarsi alla pittura, come fece Artemisia Gentileschi, rappresentava una scelta non comune e difficile, anche se non eccezionale. Se ne possono ricordare una decina, sue contemporanee. Ma sempre troppo poche rispetto ai numerosi colleghi maschi. L'apprendistato presso papà Orazio rappresentò per Artemisia Gentileschi l'unico modo per esercitare l'arte, essendole precluse le scuole di formazione: alle donne veniva negato l'accesso alla sfera del lavoro e la possibilità di crearsi un proprio ruolo sociale. Una donna non poteva realizzarsi puramente come lavoratrice, ma doveva perlomeno sostenersi col proprio status familiare; il lavoro femminile non era riconosciuto alla luce del sole, ma si realizzava perlopiù clandestinamente, come dimostrano i registri delle tasse e i censimenti.

La Gentileschi riprese dal padre Orazio il limpido rigore disegnativo, innestandovi una forte accentuazione drammatica tratta dalle opere del Caravaggio, caricata di effetti teatrali; stilema che contribuì alla diffusione del caravaggismo a Napoli, città in cui si era trasferita dal 1630 e che la rese famosa nel mondo conosciuto di allora.

Sposata ad un modesto e opaco pittore, la Gentileschi si trasferì a Firenze, dove ebbe quattro figli, di cui la sola figlia Prudenzia visse sufficientemente a lungo da seguire la madre nel ritorno a Roma poi a Napoli. L'abbandono di Roma fu quasi obbligato: la pittrice aveva ormai perso il favore acquisito e i riconoscimenti ottenuti da altri artisti, messa in ombra dallo scandalo suscitato, che fece fatica a far dimenticare. Difatti anche gli epitaffi alla sua morte furono crudelmente ironici.
Il successo, unito al fascino che emanava dalla sua figura, alimentarono motteggi e illazioni sulla sua vita privata.

Artemisia Gentileschi si stabilì a Roma come donna ormai indipendente, in grado di prender casa e di crescere le figlie. Oltre a Prudenzia, ebbe una figlia naturale, nata probabilmente nel 1627.

Dopo Roma e Napoli, LONDRA. Nel 1638 Artemisia raggiunse il padre a Londra presso la corte di Carlo I, dove era diventato pittore di corte e aveva ricevuto l'incarico della decorazione di un prestigioso soffitto di rappresentanza.
Dopo tanto tempo, padre e figlia si ritrovarono legati da un rapporto di collaborazione artistica, ma dubito che il motivo del viaggio londinese fosse solo quello di venire in soccorso all'anziano genitore. Certo è che Carlo I la reclamava alla sua corte per la notorietà e perizia di Artemisia Gentileschi, ormai rinomate presso le corti europee. Un rifiuto non era possibile.

L'interesse per la figura artistica di Artemisia Gentileschi ebbe un forte impulso per merito di studi in chiave femminista che efficacemente sottolinearono la forza espressiva del suo linguaggio pittorico, specie quando i soggetti rappresentati sono eroine bibliche, che pare vogliano manifestare la ribellione alla condizione in cui le condanna il loro sesso.


In un saggio contenuto nel catalogo della mostra svoltasi a Roma e poi a New York, Judith W. Mann prende le distanze da una lettura in chiave strettamente femminista, mostrandone i limiti:
«[Una lettura di questo tipo] avanza l'ipotesi che la piena potenza creativa di Artemisia si sia manifestata soltanto nel raffigurare donne forti e capaci di farsi valere, al punto che non si riesce a immaginarla impegnata nella realizzazione di immagini religiose convenzionali, come una Madonna con Bambino o una Vergine che accoglie sottomessa l'Annunciazione; e inoltre, si sostiene che l'artista abbia rifiutato di modificare la propria interpretazione personale di tali soggetti per adeguarsi ai gusti di una clientela che si presume maschile. Lo stereotipo ha avuto un doppio effetto restrittivo: inducendo gli studiosi sia a mettere in dubbio l'attribuzione dei dipinti che non corrispondono al modello descritto, sia ad attribuire un valore inferiore a quelli che non rientrano nel cliché.»

La critica più recente, a partire dalla ricostruzione dell'intero catalogo di Artemisia Gentileschi, ha inteso dare una lettura meno riduttiva della carriera di Artemisia Gentileschi, collocandola nel contesto dei diversi ambienti artistici che la pittrice frequentò, restituendo la figura di un'artista che lottò con determinazione, utilizzando le armi della propria personalità e delle proprie qualità artistiche contro i pregiudizi che si esprimevano nei confronti delle donne pittrici; riuscendo a inserirsi produttivamente nella cerchia dei pittori più reputati del suo tempo, affrontando una gamma di generi pittorici che dovette esser assai più ampia e variegata di quanto ci dicano oggi le tele a lei attribuite.

Concludo dicendo che, sebbene eroina del femminismo, o forse proprio per questo, Artemisia Gentileschi meriti anche oggi quei riconoscimenti artistici già vivi ai tempi suoi, attribuiteli persino dai regnanti durante la sua vita.

mercoledì 14 ottobre 2015

INCREDULITA' E' OMERTA'

Se paragonare l'incredulità all'omertà pensate sia un concetto troppo spinto, cercherò di dimostrarne la diretta correlazione causa – effetto.Pensavo ormai di aver metabolizzato la violenza subita. Invece quando leggo notizie come quella di Luca Priolo (24 anni) che ha ammesso di aver ammazzato la partner (20) ancora mi si contorce ciò che ho di più sacro: cervello e vagina.

Le cicatrici del corpo guariscono, quelle dell'anima NO.

Per quanti anni possano passare (8 anni), per quante cure si possano affrontare (nel mio caso, 6 mesi di terapia personale con una psicologa del centro anti-violenza, più altri 3 nel gruppo di auto-mutuo aiuto tra donne maltrattate moderato da due terapiste specializzate nel tipo di trauma, più diversi mesi di ricerche TV sulle puntate di trasmissioni come STORIE MALEDETTE o AMORI CRIMINALI, più altrettanti mesi di interviste a specialisti nell'ambito, fino a sfociare in un agile manuale con nomi e numeri di telefono di coloro che salvano le donne maltrattate, CORPI RIBELLI), certe cicatrici dell'anima non guariscono. MAI.

Allora mi documento, mi informo e rifletto, per poi sottoporre al giudizio del lettore e magari trovare rinnovato coraggio per sparare un faro su PicchiatoriMaltrattantiPedofiliSexOffendersStalker, per promuovere una cultura non violenta, che nasca fin dalle classi più giovanili, magari portandola fin dentro le scuole primarie dell'infanzia. 

Anche a costo di apparire poco rispettosa della privacy, nel caso dell'ennesimo stalker femminicida reo confesso, voglio mettere la sua faccia, perché tutti sappiano e nessuno dimentichi. Una volta condannato e finito in galera, solo se il Priolo condurrà le opportune cure cliniche per non reiterare reati simili, come quelle proposte dal prof. Giulini del CIPM, allora avrà diritto all'oblio.


Nel vagliare le informazioni, mi colpiscono alcuni elementi che provo a mettere in fila qui di seguito:l'avvocato difensore del Priolo dall'accusa di stalking ipotizzava “perfino una bonaria risoluzione”i commenti degli amici del Priolo, reperiti qui e là sul web (LA STAMPA, Tgcom24), affermano di essere increduli.

Le autorità che avrebbero dovuto tutelare la giovane, non l'hanno fatto.Nel 2013 la giovane aveva denunciato Luca Priolo per episodi di stalking. Sottolineo che la denuncia di stalking richiede documentazione atta a convincere il Giudice della sua veridicità. 

Inoltre la querelante è tenuta a supportare con valida documentazione medica il suo stato di salute o dei suoi cari quanto sia in pericolo proprio a seguito della persecuzione. Siccome il procedimento giudiziario aveva iniziato il suo percorso, visto che la Procura di Catania aveva già chiesto il rinvio a giudizio dell’imputato, possiamo lecitamente immaginare che le parole della ragazza non fossero state vane, ma supportate da prove documentali. 

Perciò, le successive dichiarazioni del Priolo “Sono solo entrato dalla finestra, perché impensierito da un'auto sospetta, volevo proteggere le mie donne” appaiono per quel che sono: una mera bugia. Tipico comportamento definito dalla criminologia clinica del narcisista perverso. Al post LESSICO FAMILIARE, nelle mie annotazioni tra parentesi, trovate alcune considerazioni pratiche su questo disturbo del comportamento. Delle problematiche comportamentali di Luca Priolo, le autorità coinvolte erano informate. Ne è dimostrazione che la prima udienza si sarebbe dovuta tenere proprio la mattina dopo il femminicidio.Ma perfino l'avvocato difensore del soggetto è caduto nelle trappole manipolatorie dell'imputato: ipotizzando, per l'appunto, “una bonaria risoluzione”, ottiene il rinvio dell'udienza perché ha chiesto il ricorso a riti alternativi.Eppure nessuno aveva provveduto a mettere in sicurezza la perseguitata.Sembra di vedere sempre lo stesso copione che si ripete ogni volta uguale, anche trasversalmente per ceto sociale, età, luogo.

Ribadisco un concetto già espresso su CORPI RIBELLI: andate in Procura a sporgere denuncia. Esiste un protocollo per la vostra messa in sicurezza IMMEDIATA che parte solo dalla Procura, grazie al PM Pietro Forno.

Il soggetto narcisista perverso vi circuisce, vi manipola; questo lo sapete già, ma non il suo avvocato difensore, non i vostri amici, nemmeno i genitori, tanto meno i figli. A tutti appare come bella persona, socievole, da ammirare, insomma un santo. 

Allora parlatene a tutti, il più possibile, raccogliete prove, testimonianze, foto, certificati: dovete fare terra bruciata attorno a lui. 

Sparategli addosso un faro che ne mostri le nefandezze psicologiche. Non è per vendetta, ma per costruirvi una barriera difensiva, persino fisica.

E sappiate che se i vostri amici dichiarano: “non avrei mai creduto che fosse capace di tanto”, ebbene, quegli amici sono caduti anch'essi nelle trappole. Il genoma umano contiene il codice della violenza, perché assieme alla specie animale dei bonobo, l'uomo è la sola ad ammettere l'uso del genocidio. Se vengono a meno certi codici di vita sociale, si scatena la violenza. 

Con l'accusa di stalking ben supportata da prove documentali, tutti avrebbero dovuto sapere che il soggetto era potenzialmente pericoloso per la vita della stalkizzata.
Perciò non smetterò mai di fare cultura e formazione su questo tristo argomento. La gente deve SAPERE COME FARE A DIFENDERSI.

mercoledì 7 ottobre 2015

GRASSO E LE VOLGARITA' INAUDITE

Pochi giorni fa, durante la discussione sulle riforme costituzionali, il gestaccio di un senatore (lo scrivo minuscolo con apposito intento), sostenuto da un secondo compare di gesta, ha suscitato non solo le ire femministe, ma anche quelle del Presidente del Senato, Pietro Grasso, il quale ha annunciato le opportune misure contenitive: “D'ora in poi, visto che l'escalation è arrivata al punto di minare la civile convivenza, il rigore sarà assoluto”. “Perché - ha continuato - gli episodi sono stati di tale gravità che hanno offeso persone e senatori ed hanno minato la credibilità delle istituzioni”.

Come di mia consuetudine, prima di scrivere questo post ho voluto documentarmi. Non farò nomi per evitare propaganda politica, sebbene tutti voi che mi seguite conosciate le mie tendenze. Il documento che più ha suscitato in me compassione e partecipazione non solo emotiva, (ho pianto, commossa) ma anche razionale, è stato il video in cui Senatrici di diversi partiti, dal Pd alla Lega Nord, parlando in aula esprimono la loro solidarietà trasversale alla collega e testimoniano di avere visto il gestaccio.

Prima di prendere decisioni, il Dr.Grasso ha visionato tutti i video disponibili. E ha tratto le sue conclusioni, andando contro al senatore minuscolo che diceva di essere stato travisato. Le penalità sancite dal Presidente del Senato sono state le seguenti: cinque giorni di sospensione - con effetto immediato - ai due senatori responsabili dei gestacci. Uno ad altro Senatore per aver aggressioni verbali. Demando l'incarico di fare nomi e responsabilità a questo pezzo di REPUBBLICA online
Una sola piccola considerazione. A parte che all'alba del III millennio dopo Cristo, siamo ancora fermi alla trivialità da marciapiede quando si deve offendere una donna, mi chiedo perché le Donne si sentono offese quando si parla di sesso, anche fosse sesso in vendita. L'onorabilità di certi antichi mestieri è direttamente proporzionale al disonore che si auto-infliggono i paganti. 
Io penso che il fenomeno del sesso a pagamento sia legato alla legge del Mercato. Finché ci sarà qualcuno che cerca, ci sarà qualcuna che offre. E allora non c'è del male se le parti rispondono. Disonore casomai a chi cerca pur avendo la possibilità di averne gratis dalla propria partner.
Concludo facendo mia l'osservazione di una ospite di Lilli Gruber a Otto e mezzo su La7, affermando con vigore che i 5 giorni di sospensione ai due senatori minuscoli siano pochi. Sono certa che questi omuncoli diventerebbero meno volgari e meno maschilisti se il Presidente del Senato li sanzionasse togliendo loro mensilità di stipendio.
Sono solo io che la pensa così?


martedì 29 settembre 2015

KAFKA MI FA UN BAFKA

Voglio continuare a scrivere dei problemi legati alla mia casa per sottolineare quali siano le criticità cui una donna maltrattata deve fare fronte e come certe Istituzioni preposte alla tutela dei bisognosi se ne occupino.
Il 25 aprile 2015 mi fu spiegato che sarei stata contattata dall'Assistente Sociale di competenza di lì a sei mesi dopo
In effetti, ad onor del merito, di mesi ne sono passati “solo” 5.

Mi viene indicato un indirizzo che appunto sulla app Google Maps, per facilitarmene l'individuazione. Eppure all'indirizzo indicato esiste solo una Piscina Comunale! Chiamo la sede e mi spiegano che QUEL numero civico corrisponde alla Piscina, in cui devo entrare per poter vedere un altro portone con il loro cartello. Un altro accesso facile! Pare che Servizi Sociali ed Uffici Comunali preposti al sostentamento dei disabili o alla attribuzione di un alloggio popolare di Milano abbiano questo vizio.

Quando finalmente accedo parlo con l'Assistente Sociale, che risultato ne derivo? Ne derivo di sapere che nel frattempo, il famigerato Albergo Diffuso si è trasformato da progetto per “adulti singoli in gravi condizione economiche e di salute” a “giovani coppie con prole in tenera età”. Insomma, definitivamente tagliata fuori. E dire che un Assessore contattato da me mi ha accusata di essere imprecisa! 

Oh ma signora, non tutto è perduto, incalza la generosa Assistente. Mi informa infatti che potrei essere inserita in altri ambiti. Uno, è dedicato ai senzatetto, cui viene attribuita una dimora in alloggio condiviso con altri clochard, che a Milano si chiamano BARBONI. L'organizzazione in cambio preleva alla fonte i loro redditi, lasciandogli 180 euro mensili, zecche e pulci come coinquilini complementari. Direi che non fa al caso mio.

Ve ne sarebbe un secondo, dedicato agli invalidi di qualsivoglia natura, sempre in alloggi condivisi, senza il cammino verso l'assegnazione di alloggio popolare, dietro pagamento di locazioni modeste che si aggirano intorno ai 500 euro mensili. Troppo per le mie tasche, tenendo conto che dovrei condividere la mia camera con disabili, magari tristanzuoli. Non ho bisogno di tristezza.

L'ultima spiaggia, invece, è legata ad un'organizzazione caritatevole cattolica, di cui non faccio nome, che concede gratuitamente alloggi di sua proprietà a rifugiati ed emigrati senza casa né lavoro, i quali li condividono. Costoro saranno poi accompagnati su un percorso di inserimento al lavoro e di assegnazione di alloggio popolare. Questa terza la vedo più come un'opportunità per me, sebbene non capisca come una milanese doc possa essere ritenuta una rifugiata. Esprimo la mia perplessità alla Assistente Sociale, la quale mi porge un biglietto su cui è scritto il nome e il recapito del Responsabile di questa organizzazione caritatevole, dicendomi: Si faccia spiegare da loro come funziona. Cosa che faccio subito dopo essere uscita da lì. Mi viene rivolto un cazziatone per essermi azzardata a chiamare direttamente, senza l'intercessione dell'Assistente Sociale. Eppure avevo debitamente spiegato quale fosse la situazione. Ci lasciamo con le scuse da parte della caritatevole organizzazione, che esprime l'intenzione di chiamare l'improvvida Assistente Sociale.

Insomma, altro buco nell'acqua. Ah no! Dimenticavo che l'Assistente Sociale mi ha fatto notare che non posso mantenere la residenza nella casa da cui fui sfrattata oltre un anno e mezzo fa. Grazie! Lo sapevo anch'io! Ma dove la posso portare, se non ho casa? Facile: Si rivolga alla Caritas, signora! E così non mi resta che affrontare anche questa umiliazione, la Caritas...

Il giorno dopo, siamo intorno al 20 di settembre, vado nella sede centrale, dove trovo una coda di sfigati (come me? Mannaggia quanto sono caduta in basso!) e leggo un cartello: SI AVVISANO GLI UTENTI CHE NON SONO ACCETTATE DOMANDE DI RESIDENZA FINO AL 30 DI SETTEMBRE. Incoraggiata, (?) busso ad una delle porte, mi faccio mettere in lista per la domanda di residenza presso di loro, ma pochi minuti più tardi mi viene spiegato che la posso inoltrare soltanto se presso il Comune risulto nella condizione di SENZA FISSA DIMORA. Faccia richiesta di risiedere presso il Comune, Signora, mi viene consigliato.

Chiamo la sede centrale del Comune di Milano allo 020202 dove un'impiegata solerte si informa circa la mia richiesta. Quando mi riporta il risultato, conferma: Sì Signora, si rivolga ad una qualsiasi delle nostre sedi con Carta Identità, patente e libretto di circolazione, che verrà fatto tutto.

Fiduciosa, mi reco nella sede di Zona 9. Dove allibiscono E la Sportellista E la Responsabile dell'ufficio. Non può portare in Comune la sua residenza! Mi faccia chiamare dall'Assistente Sociale che le spiego io come funziona e si rivolga al Parroco qui vicino per portare la residenza presso la Parrocchia.

Inutile dire che il Parroco manco ha aperto il cancello.


Sono passati 10 mesi senza casa, vivo ospite di persone di buon cuore, trascorrendo le mie giornate negli uffici pubblici che dovrebbero dare sostegno ai bisognosi. Ne ricevo solo una convinzione; Kafka e il suo PROCESSO sono io!

domenica 27 settembre 2015

UN DRAMMA COME TANTI

Antonella Caprio, autrice

Oggi vorrei scardinare una consuetudine malefica, una usanza inopportuna, un costume distruttivo, un detto popolare assassino: TRA MOGLIE E MARITO NON METTERCI IL DITO.
Anche a costo di andare contro i luoghi comuni, vi imploro: mettetecelo, QUEL dito, perché la vita di una donna potrebbe essere salvata.

Lo dice molto bene la pièce QUESTA STORIA SBAGLIATA di Antonella Caprio, già autrice di testi teatrali e romanzi: NON C'E' CUORE (n. 3 Premi Letterari Internazionali) e IL SEGRETO DEL GELSO BIANCO (n.3 premi letterari nazionali).
Patrizia Pozzi, attrice
Eugenio Gradabosco, attore
Patrizia Pozzi ha realizzato autoscatti con  farfalle sovraimpresse in colori violenti su mani maschili


Durante la visione, pensavo: Questa situazione sembra reale, vera, vissuta. Rabbrividivo e piangevo di compartecipazione. Eppure Antonella non mi ha detto di avere subito violenze...

Nel successivo dibattito, ecco svelato l'arcano. Antonella ammette di avervi assistito indirettamente. Ogni parola del diverbio e il grido disumano della donna ammazzata le rimbombano per tanto tempo nel cervello e nel cuore, a tal punto da indurla a scriverle. Se la scrittura è terapia, allora mi domando se con la pièce non voglia espiare la colpa di non essere intervenuta. Se così mai fosse, la rassicuro affermando che ce l'ha fatta, perché la sua invocazione di salvezza arriva forte e chiara a tutti, uomini e donne comprese. La platea era ammutolita nella gioia del riconoscimento del proprio dramma personale, annichilita nella vergogna di essere umano.

Infatti, solo due specie animali ammettono il genocidio: il bonobo e l'uomo. Il nostro genoma contiene in nuce il germe della violenza.

A fine rappresentazione, il dibattito rende protagonisti la sottoscritta, invitata come ospite d'onore per la mia testimonianza di vita, da cui ho derivato il saggio CORPI RIBELLI – resilienza tra maltrattamenti e stalking, un manualetto in cui si trovano nomi, telefoni ed indirizzi di coloro che aiutano.
Al termine del dibattito, vengo abbracciata da sconosciute che hanno condiviso violenze domestiche. Una di loro piange di compassione, le dico: Capisco che anche tu hai subito! Annuisce, felice di essere riconosciuta. Un'altra, con espressione dura, mi confida nell'abbraccio ferreo in cui mi stringe, di aver assistito da bimba alle violenze domestiche che il padre infliggeva alla madre, mai ribellatasi. Da subito accusò la madre di non averlo fatto.

Il criminologo Antonio De Salvia, illustre dauno, laureato in filosofia presso l’Università di Torino con specializzazione in criminologia clinica presso l’Università di Genova, autore di vari trattati sulla pena ed il volontariato all'interno delle carceri, nonché referente organizzativo di eventi organizzati dalla Associazione NESSUN UOMO E'UN'ISOLA con lo scopo di recuperare il complesso edilizio de le carceri Le Nuove di Torino, per aprire una struttura utilizzata a contenere, separare ed emarginare, a persone libere, desiderose di riflettere e capire.

Eugenio Gradabosco, attore e regista italiano, protagonista maschile de UNA STORIA SBAGLIATA, molto in parte. Nel 2010 è stato il Cuoco Zibibbo nella Melevisione, un programma per bambini di Rai YoYo.


Patrizia Pozzi, valida attrice di prosa, lavora anche come logopedista. Compie studi artistici ed è appassionata di arti figurative, lo si coglie perfettamente nel suo allestimento scenografico

E' la protagonista femminile di QUESTA STORIA SBAGLIATA, ed esordisce così: Quand’ero bambina mi piaceva collezionare farfalle… Mi incantavo a vedere quelle ali, grandi, colorate, infilzate con gli spilli nelle teche… Farfalle catturate nell’attimo del loro viaggio più bello. Immortalate per sempre nella loro sublime bellezza. E messe lì. Sottovetro. Per sempre.

Lei stessa è farfalla, baco brutto sbocciato alla bellezza grazie all'amore dell'uomo che poi arriva a sposare. Ne è innamorata, con quella stessa sublime leggerezza della farfalla nata a nuova vita post-crisalide. Ma si rende conto troppo tardi che suo marito l'ha infilzata di spilli. Quando si ribella, muore ammazzata, perché il marito la vuole amare per sempre, possederla per sempre.
Io l'amavo, ripete il protagonista maschile nel suo mantra stonato.
Ma l'amore rende liberi, non infilzati in una teca di vetro.







mercoledì 23 settembre 2015

ITALIA DA MISS

Diciott'anni e non sentirli! Ebbene sì, è stata eletta una diciottenne, con tutto il suo bagaglio culturale da diciottenne, che non sarà quello di una Margherita Hack. Perdoniamole allora la sua uscita del 42? No. Provo a spiegarvi perché.

Dubito che la Miss ignori le date. Dubito che la Miss ignori il carico di dolore che porta la guerra. Lasciatemi dubitare anche che abbia citato il 42 con scopi letterari (LA GUIDA GALATTICA PER GLI AUTOSTOPPISTI. I meno lettori si leggano almeno la spiegazione su Madre Wiki).
Fin dalle elementari, ci viene insegnata la storia della II Guerra Mondiale, di cui sappiamo anche la durata: da circa il 1938 a circa il 1945. Si dovrebbero persino conoscere le date di inizio e della fine. Perciò sottolineo l'uso del circa. E allora vogliamo davvero credere che questo CIRCA non faccia parte anche del bagaglio culturale di una diciottenne, ok scusate, quasi diciannovenne? Ovviamente, la mia è una domanda retorica.
E direi che la polemica possa finire qui.

Ne accendo un'altra. I commentatori che fanno della ironia sul 42, si sono permessi perché nel parlato non si percepisce l'apostrofo. La mia domanda è: si sono permessi di farlo, in nome del maschilismo imperante che vuole le Miss belle e oche?
Ovviamente, è un'altra domanda retorica.
E direi ancora che la seconda polemica possa chiudersi qui.

Ne apro una terza. E' da notare quanto questa Miss Italia sia androgina, maschile. Almeno dai '70, il Mondo della Moda ha eletto la gaytudine degli stilisti a simbolo della creatività, non a torto. Ma, e qui dico: di conseguenza, da Twiggy in poi, le modelle sono andate vieppiù a smagrirsi, ad assottigliarsi, a perdere le loro forme di femmine, a negare le rotondità, ad assomigliare sempre più a maschi. Come a confermare questa tendenza, le stesse aspiranti Miss sfiorano l'anoressia. Di quest'ultima, circola una foto che mostra un Monte di Venere particolarmente prominente. Falsa o no, circola. CIRCOLA e la gente ci crede. Crede di vedere un attributo maschile.
Insomma, con questa immagine di donna maschile, promulgata sui Socials e sui Media, vogliono negarci il diritto di essere tonde, vogliono negarci il diritto di essere donne. E questa volta non è una domanda, ma un'avvilita constatazione.
Domanda provocatoria: vi ricordate il nome della Miss Italia 2015? Io no.


mercoledì 16 settembre 2015

RESILIENZA IN POMPA MAGNA

Ieri ho trascorso la giornata con un'amica che sta diventando vieppiù importante, Giulia. Una bella donna, alta, slanciata, sorridente, luminosa, separata, sui 54, maestra parrucchiera in casa. Anni fa si legò ad un uomo sposato ad un'altra. Il quale, nel corso della relazione, le promise i classici Mare&Monti, addirittura occupandosi di lei economicamente, fino a pagarle la locazione, illudendola di una nuova vita insieme, FUTURA. Il guaio è che questo futuro l'uomo lo procrastina sempre, fino ad invitare Giulia a farsi un amante. 

Pur di non dargliela vinta, lei gli dà ascolto. Sceglie di stare con un uomo che in breve tempo si rivela manesco e la picchia. Eppure lei resiste, determinata a non stare sola con la sua delusione. Infine si accorge che non lo ama. Che è solo uno stronzo, mentre ai suoi occhi lo sposato è un galantuomo. Trova il coraggio di lasciare il picchiatore. Finalmente. Si ripropone nel giro di qualche mese di lasciare anche lo sposato, sa di meritarsi di più. Almeno un uomo tutto intero e non part-time. Ma le riesce difficile, perché ne è ancora innamorata, nonostante. In fondo ha un debito di gratitudine nei suoi confronti. 

Tutte le sue amiche le ribadiscono ciò che lei sa già di suo. Deve lasciarlo e vivere finalmente una vita libera, perché sebbene non la picchi, le fa subire violenze psicologiche forse peggiori. Finché prende la fatidica decisione. Con calcolata strategia, lo attende per il pagamento della locazione mensile e per il taglio di capelli alle 14 di un pomeriggio. Lo sposato la chiama alle 12: Sei a casa? Lei, pur essendo in casa, risponde: No. La sua determinazione a sganciarsi dai desideri di lui è alta. Così quando l'uomo arriva alle 14, lei è pronta a dirgli che era in casa, ma che aveva preferito rispettasse gli orari prestabiliti, e con ferma gentilezza e uno spettacolare sorriso gli fa notare che non è al suo servizio. 

L'uomo ribatte: Lo sapevo, a mezzogiorno stavo passando sotto casa tua ed avevo visto la tua auto. Facciamo sesso prima o dopo i capelli? Giulia incassa quell'ammissione di controllo col suo solito sorriso, ma ha già un piano: lo eccita strusciandosi addosso ma non conclude, glielo fa arrivare … E qui mi fa un gesto fino alla gola. Sai Stefi, è super dotato, vuoi vederlo? 

Beh insomma, per farla breve, a questo punto spero abbiate capito il senso del titolo, perché non ripeterò più. Non vorrei che illustri uomini e donne dello Stato, tra gli oltre duemila lettori di questo blog, se ne abbiano a male. Giulia sa bene come tenere in potere un maschio, sa che quella pratica sessuale è scettro del potere. Gli regala il suo agognato orgasmo, restando in ginocchio tra le sue gambe, senza nemmeno spogliarsi.

Poi gli taglia i capelli, quindi lo fa pranzare. Il tizio le lascia i soldi della locazione più 50 euro per il full monty. E lo rimarca: Questi 50 non sono per i capelli. Lo chiamo tizio perché non è un uomo. Giulia, che è invece una donna di classe, sorride e ringrazia. Accompagnandolo alla porta, gli dice: Qui sei sempre il benvenuto, ma sappi che non faremo più sesso.
Da un mese Giulia ha trovato un nuovo partner LIBERO.
Dedico a Giulia il mio tormentone dell'estate 2015: STANDING OVULATION!


venerdì 31 luglio 2015

FOCA SPOGLIATA

Nel cuore degli anni '70, io bimba, ricordo bene le diatribe tra i miei genitori, di formazione e di frequentazione cattolica, circa l'opportunità da parte di periodici come L'ESPRESSO o PANORAMA di pubblicare copertine con donnine procaci (oggi, da femminista, dico: depauperate in ogni senso possibile). Stavano vivendo tutti l'esplosione della Rivoluzione Sessuale e tra i direttori dei periodici di riflessione sulla Società era scattata la gara della FOCA SPOGLIATA, in copertina come nell'interno del giornale. Ricordo quella donna crocefissa nuda e incinta pubblicata su L'ESPRESSO
per il referendum a favore della depenalizzazione dell'aborto (fu il 1975, mi pare). Ci furono anche programmi TV sorprendenti per la loro licenziosità, persino trasmessi in fascia protetta, come DRIVE-IN, fino all'esuberante e capezzolare COLPO GROSSO. Oggi il capezzolo non sarebbe accettato nelle nostre edicole e nemmeno in TV. In quarant'anni, pur con in mezzo il II ventennio e le sue veline,/meteorine/letterine, parrebbe abbiamo regredito. Con questo post, oggi, voglio chiedere se è vero e perché.

Il II ventennio sembrava aver consacrato i risultati delle lotte femministe. Donne sconosciute ai più (ma solo quelle belle) si sono sentite sdoganate, hanno usato i loro corpi poco coperti per scavarsi un briciolo di attenzione tra il pubblico. Voglio farne i nomi perché diversamente, alla luce dell'apparente ritorno del patriarcato, sembrerebbe che parli di aria fritta. Alcune (come Alba Parietti) si sono inventate un mestiere da pseudogiornalista grazie a seni e labbra rifatti, immantinente le giornaliste vere (come Lilli Gruber) l'hanno imitata. La prima vantava un cervello, ma che, ottenendo in TV solo passaggi da meteora, alla fine ha dimostrato di non avere. La seconda, che ha un cervello sopraffino, si rinnova ogni volta, presenziando con arguzia e sagacia i suoi ospiti televisivi.
Non voglio affermare che veline,/meteorine/letterine/albette siano de-ficienti, cioè difettino di qualcosa. Voglio solo constatare che tutta questa Rivoluzione Sessuale (in TV) non sia stata a vantaggio delle donne. Anzi, sia andata a loro detrimento. Perché l'esposizione mediatica di scollature e gambe e glutei ha portato alla svalutazione della Donna, del suo cervello, della sua essenza, permettendo ad opinionisti come Selvaggia Lucarelli di sbeffeggiare esempi preclari di Donne.

Se la donna può essere null'altro di come la vedete in TV, scollature e gambe e glutei, allora lo sarà anche se seduta in Consiglio Regionale (faccio i nomi: Nicole Minetti) o in Parlamento (Maria Stella Gelmini, Mara Carfagna, Giorgia Meloni). Questa trama porta al ritorno del patriarcato? Se così fosse, le giornaliste stiano attente a mostrare i propri corpi: per proprietà transitiva, le loro vere capacità potrebbero essere svilite.


Torniamo al capezzolo da copertina. Alla luce della mia precedente analisi, mi accorgo che forse non è moralismo quello che oggi ne impedisce la copertinizzazione. Forse, e mi auguro sia così, gli editori si sono accorti di quanto sia avvilente la mercificazione del corpo femminile. Avvilente per i contenuti dello stesso periodico. Sì, una copertina procace fa vendere, ma il pubblico cerca ben altro. Perché il procace ormai è a portata di click, gratis.

giovedì 30 luglio 2015

UN AMORE DENSO, CONSAPEVOLE

Un amico gayo, Lorenzo Masili, attivista politico/sindacale milanese, (qui uno dei tanti esempi di attivismo, questo il suo profilo Facebook), ha pubblicato pochi giorni fa un post su Facebook che si riferisce all'Amore tra uomini, portando l'esempio concreto di una coppia che si aiuta vicendevolmente nel rispetto reciproco delle differenze. Nel suo modo franco e diretto, Masili ci racconta l'esempio di questo amore “denso, consapevole” che espone quadri in un angolo della Francia, con orgoglio italiano, per un paese che non li riconosce. Dice: “La lotta per i diritti civili è per me principalmente un atto d'amore per il loro amore.”
Mi ha fatto riflettere ancora su quanto noi donne, invece, siamo staccate e interrotte tra di noi. Ne ho investigato i motivi anche quando stavo scrivendo CORPI RIBELLI.

Dal canto mio, io amo l'umanità intera, sia essa uomo o donna o bimbo. Amo di più le donne perché ho un afflato paternale e protettivo, perché vorrei incarnare gli ideali del cavalierato a tutela di chi ha pochi diritti o non ne ha affatto. Un esempio su tutti: le donne in Italia sono tutt'ora emarginate, soprattutto nei contesti lavorativi. Pur avendo dimostrato di poter assurgere con competenza agli stessi ruoli dei maschi, le femmine di pari livello non ricevono gli stessi stipendi. C'è ancora tanta strada da fare, non dimentichino le nuove generazioni le lotte delle loro madri.  Ma noto con malcelata amarezza che il nemico cui si riferisce Masili, quello che maggiormente ostacola il raggiungimento, nel mio caso, non degli omosessuali, ma dei diritti delle donne, sono le donne stesse.

Tornando al topic, ricordo come mesi fa un politico della nostra Regione (non voglio farne il nome qui per non dargli spazio che non merita, ma potete leggere il link) fece affermazioni contro il popolo gay tali da suscitare lo sdegno di tutti e da portare in piazza Aulenti a Milano una massa compatta di omosessuali (e eterosessuali) a protestare con efficacia. Le donne invece non si riuniscono più in piazza, quando viene leso loro un diritto. Dal Glass Cieling al feminicidio.

Quando un bimbo dice: “Roba da femmine”, noi madri per prime dovremmo cambiare il nostro atteggiamento sessista e stereotipato.

Quando una donna viene stalkizzata da un partner, dovremmo tutti sparare un faro contro lo stalker.

Quando una donna viene vilipesa, dovremmo far barriera tutti contro il predatore .

Quando una donna viene stuprata, dovremmo tutti ricordarci di prevenire uno stupro.

Quando una donna viene torturata nella psiche, dovremmo tutti attorniarla d'amore.

Quando una donna viene ammazzata, dovremmo tutti scendere in piazza!

Ogni giorno i quotidiani ce ne riportano le notizie. Alcuni di loro giustificano il fatto di cronaca nera con l'espressione omicidio passionale. Ma siamo in un'era troppo progredita per accettare ancora il concetto, perché non ci può essere passione nell'omicidio della propria partner, perché se siamo d'accordo che la parola passione attiene all'amore, allora la parola omicidio attiene all'odio.
Eppure, tra menefreghismo da una parte e scorrettezza di linguaggio giornalistico dall'altra, nessuno si indigna. La constatazione mi fa torcere dal dolore ciò che è più donna nel mio corpo.

Quando fui maltrattata da donne maltrattate, cui avevo offerto il mio sostegno, ho studiato nello specifico questo atteggiamento donna contro donna.

Dice Phyllis Cheslerpsicoterapista, docente al college, attivista femminista newyorchese, in un suo testo ormai fuori catalogo: L'aggressività che si sviluppa tra donne è differente da quella che si instaura fra uomini. Le donne, per esempio, competono solo con le altre donne e non con i maschi; molte di loro sviluppano idee sessiste, nonostante di solito tendano a negarlo anche a se stesse. L'oppressione di cui il genere femminile è vittima nella nostra società si traduce spesso anche nelle opinioni e nei comportamenti delle donne verso altre donne.

Infatti, quotando questo articolo, concordo in pieno quando si scrive: “Spesso le donne si comportano in modo subdolo e manipolatorio, un comportamento che secondo alcuni psicologi ha origine dal rapporto madre/figlia e dalla lotta per contendersi l’amore del marito/padre. Una rivalità che spesso risulta dannosa sia per la vittima che per il carnefice, una spirale di vendette e ‘sgambetti’ che porta a solitudini e amicizie ‘finte’.

A dimostrazione che è un problema sentito e discusso, se ne trovano tracce persino in una fonte tutt'altro che autorevole, se non per la partecipazione larga di persone come noi.

La giornalista Irene Vella, inviata di Cristina Parodi, veneziana di adozione, è riuscita a costruire un testo auto ironico sulle donne che lei chiama bulle da strategia della tensione, quelle cioè che ti abbandonano solo dopo averti vampirizzato i contatti di lavoro. O quelle che ti stanno così vicine da mirare al tuo partner. O che alla notizia della tua gravidanza, si dimostrano premurose ma ti riempiono di paure. «Da adulte le bulle-vipere ti attaccano la autostima, ti feriscono per quello che fai e non tanto per quello che sei.” La giornalista non ha dubbi: «Le donne, alla fine, sono sempre più brave degli uomini. Anche nella cattiveria».

Alcuni sedicenti pensatori traggono spunto da una ricerca delle docenti australiane femministe Carleen M. Thompson, Susan M. Dennison and Anna L. Stewart, 2013
pur di giustificare il proprio becero maschilismo. Non faccio nomi per rispetto della privacy, ma vi riporto il link così che ve ne possiate sincerare personalmente.


Qui invece il .pdf delle tre scienziate, che, pur identificando nell'universo femminile, il principale perpetratore del reato di stalking, non contempla giustificazione alcuna per i vessatori maschi.

"This study investigated risk factors from the integrated theoretical model of stalking violence (ITMSV) with 703 participants classified as relational stalkers from South-East Queensland (Australia). Participants completed a self-report perpetration questionnaire assessing (a) relational stalking, (b) stalking violence (no/moderate/severe), and (c) predisposing (sociocultural, psychological, historical) and contextual (intentions, triggering events, disinhibitors) risk factors. Findings supported key propositions from the ITMSV. Severely violent stalkers were characterized by a greater number, and more severe types, of predisposing factors than moderately violent or nonviolent stalkers. The importance of contextual factors was supported in relation to moderate and severe stalking violence. Combining predisposing and contextual factors resulted in strong predictions of moderate and severe stalking violence. These findings highlight the pertinence of differentiating moderate and severe stalking violence and combining predisposing and contextual factors in assessments of risk". 

Anche l'edizione online de IL GIORNALE strumentalizza lo stesso lavoro, come dimostrazione della necessità di un ritorno al patriarcato, contro le donne.

Allora interrogandomi sulle motivazioni che contrappongono le donne contro le donne, torno alle affermazioni di Phyllis Chesler: “Di frequente alla base di questi atteggiamenti c'è un rapporto conflittuale tra madre e figlia o tra sorella e sorella”. 
Non per fare della psicologia da settimana enigmistica, ma penso che la conoscenza della rivalità Figlia/Madre/Matrigna sia alla portata di tutti, da Cenerentola/Biancaneve in poi.

Un grande pensatore come Nietzsche afferma: “Per troppo tempo nella donna si sono nascosti uno schiavo ed un tiranno. Perciò la donna non è capace di amicizia, ma conosce solo l’amore”.
Sì, la donna fu, ed è tutt'ora, schiava dell'uomo. Nessun accesso possibile alle funzioni clericali. Glass Cieling sul lavoro. La costola di Adamo. L'obbligo di cura dei figli e dei genitori. Dietro ad ogni grande uomo c'è una grande donna. Nessun diritto di voto fino al primo dopoguerra. Casalinga, nessun riconoscimento pensionistico, tanto per citare a caso alcuni luoghi comuni fondanti. In casa, tuttavia, nella conduzione familiare e sessuale, la donna si erge per contrappunto a tiranno e sembra vendicarsi. Sento tanti mariti sconsolati che sono diventati ex a causa di questa duplice tirannia. Quando siffatta donna incontra un nuovo amore, è amore incondizionato, nella speranza di non trovarsi nuovamente schiavizzata. Fino alla prossima delusione. Finché le madri cresceranno figli maschi cristallizzati negli stereotipi, quando incontreranno l'amore, resteranno deluse.

Siamo senza speranza. No. Voglio chiudere in due modi, la speranza che ho derivato da un'intervista al TG e facendo mie le parole di Irene Vella: “ E i discorsi sulle alleanze al femminile? Le donne per le donne? «La sorellanza esiste. Sono legami coltivati a lungo. Sono rari, belli, lenti e forti». Legami che sto cercando di consolidare con le mie amiche, di qualsiasi orientamento siano.

Dicevo di voler anche chiudere con una nota di maggior speranza di quella con cui ho iniziato questo post: ieri sera (28 luglio 2015) le donne (e gli uomini) sono scesi in piazza per protestare contro la sentenza di assoluzione al processo di secondo grado, che vedeva imputati alcuni ragazzi stupratori di una giovane 7 anni fa. Scelgo di riportare, tra i tanti articoli, quello de IL MESSAGGERO che pubblica lo sfogo della protagonista, perché mi ha mosso fino alle lacrime. Della sua vita, dice che è stata: “distrutta, maciullata dalla violenza. La violenza che mi è stata arrecata quella notte, la violenza dei mille interrogatori della polizia, la violenza di 19 ore di processo in cui è stata dissezionata la mia vita dal tipo di mutande che porto al perché mi ritengo bisessuale”. E ancora: “Essere vittima di violenza e denunciarla è un’arma a doppio taglio: verrai creduta solo e fin tanto che ti mostrerai distrutta, senza speranza”.

Leggetelo, capire meglio la speranza con cui voglio chiudere. La speranza, anzi, la certezza di un futuro migliore, che mi è derivata dalle parole di un padre intervistato al TG: “Ho un figlio maschio e una femmina. Voglio educare il maschio affinché porti rispetto al mondo femminile”.
Perché la violenza sulle donne è un problema degli uomini.