lunedì 23 febbraio 2015

IL PERDONO E LA MERAVIGLIA

A causa di un banale guasto al mio Iphone 5S (ne scrivo marca e modello perché voglio fare pubblicità comparativa a favore del Galaxy Samsung; di questi ne ho avuti ben tre, in 4 anni, mai dato problemi. L'unico Iphone invece, tanto decantato come il migliore, in meno di 6 mesi è finito già tre volte all'assistenza!), dicevo, a causa di un banale guasto, domenica sera stavo per seguire il consiglio dei Carabinieri di denunciare l'ex marito per violenza assistita da minore. Ma l'ho Perdonato in nome della mia Meraviglia.

Tutto nasce da un cambio di consuetudini. Per decreto del Giudice, il papà deve comprare un biglietto di Freccia Rossa per ogni tratta MI/TO quando arrivo in visita. Questa volta si è rifiutato perché, a suo dire, avevo rinviato, prendendo a pretesto l'operazione di asportazione del cancro al seno. Quindi mi acquista il viaggio con normale interregionale, mutando gli orari. Dal canto mio, per amore del quieto vivere di nostra figlia, taccio e salvo il tutto sull'Iphone. Va detto che la figlia dopo l'aneurisma che mi ha stesa, è stata collocata presso il padre in provincia di Torino, entrando in Val di Susa, collegata alla città da un treno ogni ora.

Quella sera, avrei dovuto riconsegnare Sofia come sempre. Ma senza Iphone, non ricordo bene gli orari. Ritengo di fare cosa giusta portarla all'orario consueto. Il papà non c'è. Lo chiamo grazie al telefono di una signora cliente del bar vicino alla stazione. L'attendiamo una mezzoretta. Entra come una furia. Inutilmente invitato con gentilezza a sedersi per parlare, mi ingiuria di fronte alla piccola. Lo invito alla calma e ad accompagnarmi in stazione a pochi metri di distanza per controllare insieme l'orario dei treni. Mi urla di nuovo contro, rifiutandosi. Tutti gli astanti si voltano sorpresi. Lo invito a controllare il mio telefono, perché guasto. Lo getta via.

La sceneggiata prosegue per strada, sotto gli occhi straniti di nostra figlia. Quando mi approccio alla stazione, tenta fisicamente di impedirmi l'accesso, strattonandomi e più volte tirando per un braccio la piccola.

Sì, avete letto bene e non è un errore di periodo. Pur essendo l'autore delle violenze, ha chiamato lui stesso le Forze dell'Ordine, dicendo che “io stavo rapendo la bambina”. Dice di essere in un bar. Alzo la voce in modo che i Carabinieri mi sentano. “Non andate nel bar, venite direttamente alla stazione, perché è là che stiamo andando”, dico ai Carabinieri.

Le suddette violenze sono avvenute davanti agli avventori del bar e per strada, con passanti che conosco di vista. Molti i testimoni contro di lui. Eppure. Questo dettaglio rilevante parla chiaro circa l'approccio a me da lui riservato. Quando anni fa negò di fronte al consesso di medici della piccola di avermi pestata a sangue, la neuropsichiatra di nostra figlia lo invitò già a curarsi. Fu lì che appresi uno degli elementi del copione: NEGARE SEMPRE.

Rivediamo la moviola. Fin dalle prime ore del mattino di domenica, avevo capito di dover reperire al più presto un caricatore per l'Iphone. Il mio si era appena disintegrato, credevo a causa del prolungato periodo di ricarica dell'Ipad di mia figlia. Purtroppo il papà ne ha dimenticato il caricatore specifico a casa, quindi, uso il mio, affinché la piccola stesse buona a tavola, col suo aggeggio carico.

Prima ancora di fare colazione, pertanto ci catapultiamo in città bassa alla Coop, dove non troviamo l'ambito elettronico. Poi reperito nell'unico altro negozio aperto alla “modica” cifra di 33 ero, pur non essendo originale.

Alle 9:30 siamo di nuovo in città alta, apro la confezione, metto l'Iphone in carica, ci rechiamo a fare colazione con il prezioso Ipad della cucciola, infine a Messa, come ogni domenica.

Alle 11 mi accorgo che l'Iphone restava scarico. Dunque non era un problema di caricatore, ma di terminale. Dalle 11,15 alle 12,40 Marco Molinero, gestore dell'Ostello del Conte Rosso che ci ospita quando vado a trovare mia figlia, si adopera in tutti i modi perché possa recuperare le info di viaggio conservate sul mio telefono. Tutto inutile, il biglietto del treno per la sera di domenica, che avevo ricevuto via posta elettronica, restava gelosamente custodito all'interno di quel guscio impenetrabile che è lo “smartphone” della Mela (smart? Smart??).

Mi rendo conto soltanto alla luce dei fatti della sera, che avrei dovuto subito messaggiare all'ex marito, di aver sbagliato a confidare solo nelle sue capacità di comprensione.

Pertanto, non potendo più accedere alle info del telefono, all'orario di norma prestabilito, ci rechiamo in stazione. Vedo partire sotto i miei occhi il consueto treno per Torino senza che il papà di mia figlia fosse presente a prenderla con sé. Armata di pazienza, fermo un ragazzo che, dal borsone dell'Alpignano calcio, presumo abbia appena terminato una partita. Sta aspettando qualcuno. Gli chiedo se posso usare il suo telefono. Mi dice di sì, che però ha finito i minuti della promozione e che pertanto si possono mandare solo messaggi. Ok, mando un messaggio all'ex marito, avvisandolo che ho lo smartphone rotto, che all'orario prestabilito eravamo già in stazione, che non capivo dove fosse finito. Sofia con calma gioca sull'Ipad. Non sono tesa, ma rassegnata. Sono anni che il mio ex marito mi ha abituata a questi tira e molla sugli orari e non mi arrabbio più da un pezzo.

Comincia a far freddo: per fronteggiare quello che ritengo un banale ritardo, ci spostiamo nel bar della stazione, dove reperiamo il telefono di una cliente che ce lo porge, dicendo subito di avere le telefonate gratis. Che gentile! Chiamo il papà della piccola e con calma gli dico che il mio telefono è rotto e che lo aspettiamo lì. Dopo una mezzoretta arriva, ma ha gli occhi fuori dalle orbite. Noi ci eravamo sedute nella sala grande e con serenità gli dico: Ciao, per favore, siediti qui con noi un attimo, così parliamo con calma.

Attorno a noi una coppia di giovani ed un tavolo con una famiglia dal passeggino. Ci guardano. Il papà di Sofia invece resta in piedi, mi investe, mi dice che è stufo dei miei giochetti in cui invento di aver il cellulare rotto (giochetti?), tenta di strapparmi la piccola dalle braccia. Mantenendo un tono pacato, gli dico: Scusa, ti ho invitato gentilmente a parlare. Lui: NO, NON PARLO CON TE! Una serie di ingiurie, le classiche che tutti gli uomini dicono alle donne quando non sanno come trarsi d'impaccio, cerca di portare via la piccola con la forza, dicendo che so benissimo che il mio treno per Torino è alle 19,45. Ribatto che non lo so, dato che invece del solito Freccia Rossa, mi ha comprato questa volta un normale interregionale TO/MI ad altro orario. E che, ribadisco, gli orari erano salvati nel TELEFONO ORMAI ROTTO.

L'ex marito usa una voce che definire alta è un eufemismo. Bariste ed avventori assistono alla scena con occhi sbarrati, la piccola si lamenta spaventata. Lascio le valige nel locale, con in braccio Sofia, dico: Andiamo tutti in stazione a controllare gli orari, per favore. Cerco di farmi seguire dal papà.
Che però a questo punto si blocca, chiama i Carabinieri, dice loro che sto rapendo la piccola e di essere nel bar, dico ad alta voce ai Carabinieri che sono invece in stazione, di raggiungermi là. L'ex marito fa dietrofront e prende la valigia della figlia, per portarla in auto. Nel frattempo verifico che c'è effettivamente un treno alle 19:45. Torno verso l'auto del papà, gli affido la bimba, vado nel bar a prendere la mia valigia, quindi torno in stazione.

Dove intercetto la pattuglia dei CC. Li fermo: Cercate il Rossi? (Non riporto il vero cognome del mio ex marito). Mi confermano. Ebbene, io sono quella che vorrebbe rapire a bambina. Si fermano e mi ascoltano. Racconto con dovizia di dettagli. Dico anche all'appuntato che l'ex mi aveva pestata a sangue anni fa. Che da questa violenza subita ho tratto una ricchezza, non di certo economica. Che ho lavorato 4 anni a fare ricerche nell'ambito dei maltrattamenti in famiglia per scriverne un saggio, CORPI RIBELLI. Che la mia casa editrice mi manda in giro per l'Italia a parlarne. Che sono invitata da Enti pubblici e privati per spargere le info necessarie ad uscire dalle violenze domestiche.

L'appuntato a questo punto sa di parlare con un'esperta. L'ex marito torna indietro e ci raggiunge. Fa capolino Sofia chiedendomi con voce rotta dal pianto: “Mamma, ma tu stai col Carabiniere?” Prontamente, costui le sorride e le dice: “Siamo amici, tua mamma ed io”. Io confermo. Poi invita il collega ad allontanarsi con il mio ex marito, per nasconderci dagli occhi di Sofia.

Pur avvisandomi di cercare un compromesso a favore della piccola, mi consiglia direttamente di querelare l'ex marito per ingiurie. Gli ribatto: “Guardi, alle ingiurie ci sono abituata! Se proprio devo fare una denuncia, sarà per violenze assistite dalla minore” Il Carabiniere approva.
Poi arriva il mio treno e mi spinge a prenderlo.

Corro, perché mai più vorrei perderlo. Sul teno sono affannata, forse più per la querela che vedo approssimarsi al mio orizzonte già tormentato che non per la corsa in sé. Resto come in trance per tutti i 40 minuti necessari ad arrivare a Torino, cercando di ricordare per filo e per segno i fatti, le testimonianze, i volti conosciuti che sanno dello smartphone scassato, quelli sconosciuti che mi hanno aiutata col proprio telefono o che sono testimoni della violenza assistita dalla minore. A come farmi rimborsare delle spese vive che stavo imputando all'ex marito, non solo del caricatore, ma anche per il riacquisto del biglietto TO/MI. Preparo mentalmente gli scontrini, una bozza di querela, i nominativi delle persone cui inviare un'email, la neuropsichiatra, la mia consigliera spirituale, la mia avvocata.

Sul treno Torino-Milano mi alimento col pane e salame acquistati il giorno prima, poi completo la lettura di uno di quei libri che mi fanno meditare e che, quindi mi piacciono tanto: LE INFRADITO DI BUDDHA, guida orientale per disorientati, di Zap Mangusta. Mi colpisce una frase che mi parla così: “Non vivere mai circondati dalle preoccupazioni e soprattutto non lasciare che diventino la norma. E, in quegli istanti, non permettere al passato di disturbarci. E al futuro di distrarci. Perché il passato non esiste più e il futuro non esiste ancora. Al contrario, vivere nei ricordi, così come nella immaginazione, significa vivere al di fuori della vita, andandosi a procurare una sicura dose di infelicità.”

In sostanza, dice di lasciarsi alle spalle le cose brutte, tanto ormai sono passate e non esistono più. Ed è lì, in quell'istante che decido di non querelare il papà di Sofia.

Però voglio anche lasciare una testimonianza, perché la faccia di Sofia era inequivocabile, quando mi ha vista bistrattata dal suo stesso papà.


Anche se l'ho perdonato, la mia Meraviglia dovrà sapere la verità. Mi sono liberata del passato scrivendo qui, per il futuro della mia Meraviglia.

lunedì 16 febbraio 2015

FEMMINISMO NEL II VENTENNIO

L'era berlusconiana passa alla storia come IL II VENTENNIO, essendo il I quello dell'altro DUCE. Questo II tristo duce ha svilito e avvilito in tutti i modi politicamente possibili la figura della Donna, intendendola come merce di scambio.

L'italiano medio ha assistito (succube) al balletto delle poltrone del potere, assegnate a vallette, attricette, donnette senza altra arte che quella dell'attrazione sessuale. Bei corpi ben vestiti in eleganti e castigati tailleur, traballanti su tacchi a stiletto, come i dettami del ii ventennio prescriveva. Troppa importanza fu conferita al costume da Bunga Bunga, nessuna importanza fu data ai loro cervelli. Forti del potere conferito loro da anni di lotte femministe, quelle donne ritenevano che l'emancipazione fosse arrampicarsi su uno sgabello televisivo a mettere in mostra le gambe.

In Tv fu un rincorrersi di giornaliste scollacciate, botulinate, plasticate, protesizzate, a tal punto da indurre certa Lorella Zanardo a realizzarne un documentario che fece scalpore, IL CORPO DELLE DONNE.

Le ragazzine di quegli anni impararono ad odiare le femministe. Ne diedero per scontate le vittorie raggiunte con anni di lotta per strada, dalle prime suffragette che ottennero il diritto di voto femminile alle ultime che si batterono per il diritto di autodeterminazione. Da italiana media mi ribellai. Ricominciai ad interrogarmi su cosa significasse essere femminista e perché se ne fossero perse le preziose linee guida. Individuai il decadimento dei principi femministi negli atteggiamenti licenziosi del Premier che avrebbe dovuto invece dare un esempio specchiato.

Ma per recuperare il senso del femminismo, dovetti frequentare all'Ateneo Bicocca il corso DONNE, POLITICA, ISTITUZIONI creato e gestito dal Gotha del femminismo milanese, finanziato con Fondi Europei. Ne uscì una tesina che si trasformò in CORPI RIBELLI.


Femminismo oggi è UGUAGLIANZA NELLA DIFFERENZA, non solo parità dei diritti (e dei doveri). E' saper riconoscere le differenza tra generi, non solo sessualmente, ma anche di ruolo nella Società. Se l'Uomo è animato dal principio della Rottamazione, la Donna invece è guidata da quello della Cura. Essere femminista non significa essere frigida, lesbica o camionista, ma essere Donna DD, (come ha inventato un caro amico) ovvero Donna Doppia, con tutto il suo carico di Gioia, Femminilità, Intelligenza, Erotismo, Dedizione. Recuperare presso le ragazzine di oggi la Bellezza del Ruolo di DD deve diventare uno degli scopi primari nell'Educazione fin dalla scuola dell'Infanzia.

domenica 15 febbraio 2015

FASCISMO DEL CORPO

Chi dice che i gay maschi siano sensibili come le donne, non sa che le donne non lo sono parimenti.
Ne ho almeno un paio di esempi.
Su Facebook ho tanti amici gay, maschi e femmine, almeno nella stessa percentuale in cui ve ne siano nella vita reale. Tra di questi, vi sono un grafico che fa il dj nei locali ed un filosofo laureato in pedagogia. Sono più femministi delle femministe. Oso l'ardire di affermare che certi uomini, non necessariamente omo, siano più femministi delle donne.

Il primo scrisse un post su quello che definiriei: la morte del capezzolo. Il grafico manipolò la foto del petto di una donna in modo da cancellarne i capezzoli, chiedendosi perché, così risultante, non solo la foto non sia sexy, ma persino tanto neutra da impedirne l'identificazione erotica. Ne traeva conclusioni stupefacenti: attraverso l'annientazione degli attributi erogeni, nessun individuo avrebbe avuto stimoli. Si trattava di un mero corpo asessuato, non fruibile per il piacere e, quindi, nemmeno per la violenza.

Un altro mio amico, eterosessuale, si è tatuato proprio sul petto nel seguente modo: da una clavicola all'altra, un'aquila dispiega le ali, mentre ghermisce un cuore trafitto da sette spade. Ha inoltre inserito un piercing per ogni capezzolo. Alla domanda del perché si sia tatuato in siffatta maniera, ha solo motivato col nome della madre: Addolorata, che nella icnografia classica, è simboleggiata dal cuore trafitto. Resta inevasa la domanda sul piercing. Afferma però che la donna ideale debba essere tonda e morbida.

Il secondo ha scritto una tesi sulla resilienza, prendendo spunto da un'eroina del cinema, tratta dal film di Quentin Tarantino KILL BILL. Spesso pubblica post estratti da saggi di autrici femministe, come Betti Marenko, di cui riporto il seguente brano: “Continuamente abbiamo sotto gli occhi gli effetti di un body-fascism che detta legge nel nostro immaginario contemporaneo e che impone, suggerisce, consiglia, rappresenta un certo ideale di bellezza tonica, levigata, liscia, terrorizzata dall'invecchiamento, dall'accumulo lipidico, congelata in forme anoressizzate, spoglia di individualità, annichilita in pose patinate e fruibili. Questo è l'immaginario prodotto da una società serializzata, museale e classificatoria che si nutre di corpi organizzandone tempo di lavoro/tempo libero, macinandone le risorse in una reificazione che frustra le membra così come gli spiriti”.

Il grafico dj, il filosofo pedagogista, l'amico-aquila e Betti Marenko mi porgono l'occasione di parlare di disturbi alimentari. Anzi, di parlare di ANORESSIA.

Vi sono stilisti che vestono la donna in modo che più femminile non si può. Sono stilisti omosessuali. Fra costoro, segnalammo anni fa TOM FORD all'organo Garante della Pubblicità per le pubblicità che produsse: donne-dee abbigliate con vesti da sogno, che cadono da scale e si spaccano il cranio. Morte in pozze di sangue. Altre dee che volano giù da finestre, restando impalate su cancellate di ferro. Addosso abiti schicchissimi, sporchi del sangue fuoriuscito dalle lance. Immagini avvilenti che arrivavano a giustificare il femminicidio, tramite il sillogismo: se possiamo ammazzare una dea, figuriamoci se non è possibile farlo con una donna comune. Le pubblicità furono ritirate. Ma, istigazione diretta al femminicidio a parte, tutti gli stilisti propalano l'immagine della donna efebica, magherrima, senza curve, persino emaciata. Una donna di fatto annientata in ciò che più le appartiene: il corpo tondo. Un fascismo del corpo che si è tradotto negli anni in modello da prendere ad esempio per il proprio, specie nelle quasi donne, in quelle cioè che dall'infanzia si affacciano sul mondo delle adulte, attraverso l'adolescenza.

Se cercate in rete, troverete tanti, troppi blog ineggianti alla anoressia. Con consigli su come resistere alla fame, come nascondere il vomito, come impedire ai genitori di vedere il cibo gettato, come nascondere l'interruzione del ciclo. Con inni alla bravura delle anoressiche, attraverso la deificazione di ANA. Non riporto qui i link, ma non farete fatica a trovarli.

Io stessa trascorsi in ospedale un paio di mesi per accudire mia figlia nel reparto di Neuropsichiatria infantile. Vi era una piccola zona del reparto che raggruppava bambini, ribadisco, bambini, non adolescenti, bimbi sotto i 10 anni (femmine e maschi) che soffrivano di anoressia. I genitori erano ammessi solo una volta la settimana.

Assistevo a spettacoli di mancanza di affetto, che si traducevano in un'unica domanda. Appena approdati al reparto, i genitori CORREVANO verso i bambini e, spalancando le braccia, li accoglievano così: HAI MANGIATO? I figli, tutti, torcevano di lato la testa.

Il fascismo del corpo muscoloso, liscio, senza inestetismi, senza grasso, ci fa assistere alla uccisione dell'eterno femminino, quello che celebrava la Dea Madre Terra, raffigurata coi fianchi larghi perché FERTILI. Quella che in alcune culture è definita Pacha Mama, in altre Gaia. Chiediamoci perché GAIA e non ANA.





sabato 14 febbraio 2015

CRIMINOLOGIA RESILIENTE

Nel corso dei miei ultimi 8 anni, durante le ricerche e gli studi del mio ambito, mi sono imbattuta in ben 3 criminologi.

Una, di cui non faccio nome per non darle pubblicità perché coinvolta in vicende processuali ancora in corso che la vedono implicata in manovre non specchiate nei confronti dei suoi stessi clienti, con uno stratagemma si impossessò dell'Associazione anti-pedofilia LA CARAMELLA BUONA, fondata dall'investigatore Dr. Dante Davalli, primo operatore delle FFOO ad aver arrestato un pedofilo in Italia in anni ancora non sospetti. Conosco personalmente Dante perché abbiamo partecipato entrambi nel 2011 ad un convegno B.A.C.A. come relatori. Mentre stimo moltissimo Dante, uomo schivo ma pervicace, per l'impegno profuso in una vita di contrasto fattivo ad uno dei più odierrimi crimini, poca fiducia mi suscita la criminologa perché troppo esposta televisivamente parlando, oltre che in preda al Botox. Una donna vanitosa che non perde occasione per vantarsi. Di cosa? Dei meriti altrui. Ad esempio, quelli di Dante. Lasciamo perdere le polemiche. Positività, sempre è il mio motto.

Il secondo criminologo è il prof. Paolo Giulini, serio e stimato professionista, che ha creato un pool di suoi pari per occuparsi clinicamente dei sex offenders all'interno dei tre poli carcerari milanesi. Ha inventato ed attuato negli ultimi 6 anni una metodica che permette a questi detenuti di non reiterare il reato per cui sono stati condannati. Di questi uomini, Giulini dice: Non sono malati, sono criminali seriali che pertanto vanno tutelati da se stessi, prima ancora delle vittime. Così che, una volta liberi, non tornino a mieterne. Lo conobbi durante un convegno cui assistetti per auto-formazione. Lo volli intervistare. Per ottenere un appuntamento con lui, mi rivolsi ad una delle ragazze volontarie che stavano in Reception. Questa ragazza si chiama Jenny Rizzo e siamo diventate amiche. Anche costei è laureata in criminologia. E' la "mia" terza criminologa. E' di lei che oggi voglio scrivere.

Scrittrice di un saggio breve sulle carceri (IL PENSIERO OLTRE LE SBARRE)  basato su sue esperienze espletate a contatto di galeotti e galeotte, che consiglio a chiunque abbia interessi in ambito sociologico, Jenny ed io abbiamo cominciato a frequentarci. Oggi sono ancora più orgogliosa di averla come amica, perché ha appena finito di confidarmi la storia di sua madre, donna resiliente.

Donnino di classe, tutta ricci e pepe, da poco passata la trentina, Jenny frequenta con passione le lezioni di una disciplina marziale di auto-difesa. Ha uno sguardo indagatore, si prodiga come volontaria per diversi progetti a sfondo sociale; è alla ricerca di un'occupazione che le permetta di guadagnarsi almeno il costo del metano per riscaldare casa; infatti vive in un appartamentino sopra a casa dei suoi, ma è il papà ad occuparsi delle spese gestionali. Pur di non gravare troppo sul bilancio familiare, Jenny tiene il riscaldamento spento. “Ci si conserva meglio!”, si giustifica con l'ironia che la caratterizza.

Avevamo programmato di recarci al PAC di Milano per godere di RI-SCATTI, una mostra fotografica realizzata coi lavori di 6 principianti. Il succo sociale del progetto è avvincente: infatti questi 6 signori sono senza tetto milanesi, coinvolti per tre mesi in un corso di fotografia assieme a tanti altri loro pari. Al termine del corso, sono stati invitati dagli organizzatori a realizzare foto reportage di Milano e delle situazioni di disagio che conoscono così bene. L'alta qualità artistica dei loro scatti ha permesso di trovare un RI-SCATTO sociale. Ora ciascuno ha un contratto a tempo determinato come fotografo. Infine, Jenny ed io ci siamo concesse una pizza e quattro chiacchiere confidenziali.

Ha preso l'abbrivio dal rendiconto sul bel bruno peloso resiliente, chiedendomi se mi avrebbe interessato la storia di sua mamma. Incuriosita, la invito a proseguire. Ma ne parlerò in altro post. Ciò che mi racconta però è la testimonianza delle sue radici da cui ha derivato l'insegnamento della RESILIENZA.
Ritengo che Jenny sia criminologa anche in virtù del vissuto materno, concentrata sulla voglia di trarre insegnamento dalla tragedia che scosse la vita delle sue ave e che però le ha permesso di crescere forte, curiosa, generosa, altruista, resiliente. Tutte caratteristiche che è possibile desumere direttamente dal suo blog.

Jenny Rizzo vi narra le sue esperienze da criminologa presso i detenuti. Riesce ad avvicendare con scioltezza pensieri personali (“sono diventata una criminologa, per poter essere più credibile nel settore penitenziario, non immaginando di quanto difficile fosse poi trovare un lavoro con queste caratteristiche”), valutazioni tecniche (“dal convegno odierno ne è uscito un manifesto, con alcune proposte che verranno presentate per “umanizzare” il carcere e permettere una maggiore cura degli affetti personali”. Seguono le proposte concrete), segnalazioni di disfunzioni istituzionali (“si chiude un decennio di progettazione sperimentale di successo, i detenuti però resteranno a contemplare il soffitto”). Il blog, come il suo saggio breve, rivelano quanto Jenny prenda a cuore il disagio degli strati più deboli della Società. Ed è questo il suo merito principale.

Curiosamente colleziona immagini di corridoi: ospedalieri, carcerari, residenziali, scolastici. Mi appaiono come canali del parto, o sono solo una visionaria da settimana enigmistica?

mercoledì 11 febbraio 2015

UOMINI RESILIENTI

Ci sono storie di vite resilienti che meritano di essere riportate per incoraggiare, con il loro esempio, chi rimane incastrato nei maltrattamenti intra-familiari, perché ne possa trarre la forza e l'incoraggiamento necessari a liberarsi.

Più spesso di quanto si creda, ne ho conosciute tante tramite Facebook, specie quando le persone, siano esse uomini o donne, vengono a sapere chi sono e cosa faccio.
Premessa necessaria è sapere che ho impostato una privacy ristrettissima. Condivido i post solo con i miei amici, perché voglio selezionare gli “amici virtuali”, tenendo esclusivamente le persone che hanno contenuti interessanti o “amici che conosco dal vivo” con cui ho vissuto momenti FORTI delle nostre vite.

Da pochi giorni, ho ricevuto la richiesta di amicizia da parte di uno sconosciuto, un bel bruno stiloso sulla trentina, amico di altro amico virtuale, Marco Marras Casu, in art gender Penelope Pleaseche conservo perché Drag Queen dai post dissacranti e sempre autoironici, e che ovviamente mi ha autorizzato a fare il suo nome. Già da come si definisce sulla sua FanPage ("drag queen storica della Liguria, giovane fossile fra le drag queen già esistenti") si intuisce subito di che pasta è fatta! Basti dire che di sé scrive: Insegnante di SEDUZIONE (corso per sole donne!). Credo abbia anche Marco una storia orribile, ormai gettata alle spalle. Sono certa di rispettare il suo sentire se non ne faccio cenno. Tutta la sua vita, professionale e non, è RESILIENZA.

Sulle prime, a questo bel bruno stiloso amico della Drag Queen, non volevo concederla per i motivi succitati. Tuttavia cerco sempre almeno un primo contatto chattando, perché sono gentile ed educata, ma anche perché talvolta capita di avere a che fare con persone interessanti. Di norma spiego loro i motivi cui mi ispiro per non accettarlo e, se davvero mi vogliono seguire, li invito a piaciare la pagina di CORPI RIBELLI o a comprarlo direttamente online dal sito della Casa Editrice Kimerik.


Mi dice di fare scambio di like con sue pagine, in cui promuove alcune attività in cui è impegnato, che vanno dall'artigianale al musicale, così avvincenti. che mi incuriosiscono. Noto con piacere che legge la mia pagina perché ritorna in chat scrivendomi che dovrà acquistare CORPI RIBELLI per sua madre. Gli chiedo se posso sapere perché! Mi risponde: Quanto tempo hai? Ero pronta ad ascoltare l'ennesima lacrimevole storia di una donna maltrattata (lo dico senza sarcasmo). Invece, questo nobile signore (eh sì! Perché nel frattempo mi rivela alcuni dettagli di sé, come quello di essere frutto dell'amore tra papà cinese e mamma italiana, di vivere sulla riviera romagnola, di avere origini nobiliari, ...) mi racconta la SUA di storia, che riporto qui fedelmente con le sue stesse parole.

Nato e subito abbandonato dai 0 anni presso nonna e zia, che considero la mia vera famiglia, ai 5 vengo ripreso dalla mamma, quindi sradicato dalle mie radici, portato a Riccione dove ho conosciuto mio padre adottivo, che ritengo persona fantastica. Dai 5 anni ai 10 gli sono stato estremamente vicino a causa delle sue due depressioni e scleri di violenza inaudita nei confronti della famiglia (io, Stefi, ascolto sempre senza giudicare, ma prendo nota, meditando sulla definizione persona fantastica: Come può una persona essere fantastica e nel contempo sclerare con violenza inaudita contro la famiglia? Forse indicativo di una sorta di Sindrome di Stoccolma, quella che ti fa ammirare se non addirittura innamorare del tuo carnefice?)

Ho stirato cucinato e lavato per anni (medito anche qui: Forse da ragazzo ha voluto farsi ben volere, come spesso capita ai bimbi oggetto di violenze assistite?). Mio padre navigava e stava in mare per mesi. Poi appena compio i 13 o 14 anni e il rapporto madre e figlio stava per prendere una buona piega, lei pensa bene di scappare di casa, realizzando il secondo abbandono. A 16 anni sono tornato dalla mia vera famiglia (zia e nonna). Dopo anni chiamo mia madre e ci vediamo. Me ne combina un'altra. L'ho presa due volte mentre si stava per buttare giù dal poggiolo di casa a Riccione dal 3° piano ...

Ma tutto sommato, io la ringrazio perché mi ha dato modo di conoscere bene la mia vera famiglia. Ho una nonna di 90 anni che è una ragazzina, la zia è un amore di donna e lo zio è un grande e devoto al lavoro. Persone semplici, umili e con dei valori, direi persone rare. Quindi ringrazio mia madre per avermi regalato questa opportunità! (medito ancora: Se un individuo ringrazia chi gliene ha fatte patire di ogni, è RESILIENTE!) Per il resto meglio stendere un velo e pregare hahahaha (ultima mia considerazione: E' una risata amara, ma almeno consapevole).

Dal canto mio, intanto visito le sue pagine: una che riporta la sua attività musicale (compositore ed esecutore di musica elettro-dance), l'altra le attività artistico/artigianali di complementi d'arredo. Noto che entrambe sono ricche di fantasia e gli faccio i complimenti. Sono stata per anni creativa in svariate Agenzie Pubblicitarie, mi sono sempre interessata d'arte in ogni sua forma, penso senza falsa modestia di sapere riconoscerla quando mi ci imbatto. Direi che questo nobile signore è un artista.

Alla mia domanda se sia etero o omo, risponde etero con una naturale propensione al sesso e alle esagerazioni, infatti prosegue cosi: Qualche anno fa, c'è stato un periodo dove convivevo. Alla mattina mi vedevo con una donna sposata di 47 anni, una figa mostruosa, la sera con svariate ragazzine a giro, la notte con la mia compagna. E giuro che l'ho fatto per due anni. Poi ho esagerato con tutto. Nel sesso, nel bere, nella droga. Ora sembro Padre Pio perché ho incontrato l'amore, sono Master, ma talvolta, proprio per amore, mi è capitato di switchare come schiavo, tuttavia non mi è piaciuto. Se mai la mia compagna ed io dovessimo avere interesse verso altre persone, interesse di tipo sessuale, vorremmo coinvolgerle nel rapporto di coppia.

Mi viene spontanea una considerazione. Nella mia modesta casistica di donne/uomini maltrattati, circa un centinaio, ho notato che almeno il sessanta per cento si è buttato nel sesso a capofitto, senza complicazioni amorose. 
Il sesso come terapia?






martedì 3 febbraio 2015

PADRI&FIGLI

Abbiate la compiacenza di notare che scrivo i nomi dei ruoli parentali con l'iniziale Maiuscola, perché entrambi coinvolti in modo collaborativo nel processo di formazione dei Figli.

Sì, Padri&Figli, non Madri &Figli. Perché sostengo che il rapporto tra il primo binomio è riflesso di come si pongono (o impongono) le Madri. Fino all'arrivo del cosiddetto affido congiunto o condiviso (se la differenza non è chiara, questa è sede inadatta per discuterne le sottigliezze legali, oltre che linguistiche; tuttavia gli interessati potranno approfondire acquistando il saggio CORPI RIBELLI che ne sviscera i contenuti sotto diversi profili), in un processo di separazione, chiamati a regolare il rapporto tra Genitori&Figli, per ciò che concerne l'educazione e l'accudimento ordinario dei figli, i Giudici hanno dato sempre priorità alla Madre. I Figli erano collocati per default presso l'abitazione della Madre, in quanto bisognosi di ciò che una Mamma ritenessero desse in più rispetto al Papà.

A questa giurisprudenza, ne seguì e si radicò col passare degli anni la convinzione tra le Mamme separate di avere ragione a prescindere. Però l'atteggiamento dei Giudici sta cambiando, per fortuna. E di conseguenza anche quello dei Padri, rassicurati, che vogliono la riscossa nel riconoscimento del loro ruolo.

Nonostante fossi stata pestata a sangue dal mio ex marito, ormai 8 anni fa, nei confronti di mia Figlia ho subito sostenuto il doveroso ruolo di Padre da parte di suo Papà, supportata dall'equipe di medici che si occupava del suo benessere psico-fisico. Ritenevo, e ritengo tutt'ora, completante e profondo il beneficio che la Minore ne avrebbe derivato. E che ora ne deriva, perché vive da poco più di un anno con lui.

Se richiesta la sua presenza, il Padre è sempre intervenuto alle riunioni di aggiornamento con l'equipe medica, mai negando l'opportunità di visite e vacanze con la Piccola, eppure per 5 anni ha mancato proprio nello svolgimento della sua funzione genitoriale. Così, per evitare che si attivasse tra me e la bimba un rapporto di attaccamento morboso, ho tentato (e ottenuto) di coinvolgere più terapisti possibili UOMINI e più figure maschili che frequentassero la nostra casa in amicizia. Vedeva spesso il Nonno, avviai l'attività di un asilo nido in famiglia, perché mia Figlia mettesse a profitto la presenza di altri Papà.

Pur avendone avute tutte le buone ragioni, mai ho messo in cattiva luce suo Padre, come sento fare da tante Mamme separate. E' un atteggiamento che lede gravemente i Piccoli.Lo dimostra la recente giurisprudenza, che è finalmente giunta a condannare la violenza assistita sui Minori, facendo ricorso al reato della violenza privata (articolo 610)che, in alcuni casi accertati, arriva a giudicare le donne maltrattate come conniventi se non denunciano quanto prima il marito violento. Se non addirittura come complici, quando i Figli subiscono abusi da parte del Padre e non fanno nulla per impedirlo. Ben conoscono queste dinamiche intrafamiliari i BA.C.A.

Ricordo di essere stata sconvolta anni fa dal caso di una Mamma, stimata Medico della provincia milanese, che era addirittura assurta ai fasti della Stampa e dei Media TV non tanto perché avesse querelato l'ex marito come maltrattante e picchiatore, ma in quanto denunciava che le fosse stato “sottratto” il figlio dai Servizi Sociali, per “rinchiuderlo” in una casa famiglia, con possibilità di visita di un'ora sola la settimana. Nota bene: in Italia, per essere ascoltata, una donna non può giocare la carta del maltrattamento. Chissà perché? Nel suo caso, lo capii in breve.

In confidenza, mi raccontò della pedofilia dell'ex marito, altro medico eminente, che viaggiava persino all'estero pur di accontentare le sue perversioni. Quest'uomo, da cui nel frattempo si era separata, ne era già stato condannato. Chiesi di vedere le carte processuali relative all'affidamento del figlio in casa - famiglia, che contenevano perizie e vari provvedimenti.

Capii che c'era qualcosa che mi sfuggiva, perché il Giudice aveva depennato l'accusa di maltrattamenti. Le feci esaminare dall'Avv. Andrea Falcetta, esperto di Diritto di Famiglia e Abusi su Minori, e dal Commissario Capo della Polizia Locale di Milano, dr. Ruggero Cagninelli, creatore del Nucleo Tutela Donne e Minori. Entrambi dissero che la Signora era sospettata di connivenza se non addirittura di complicità col marito, perché non denunciò gli atti di pedofilia contro il figlio SUBITO. Quindi, per il bene del bambino, il Giudice ne decretò l'immediato allontanamento.

Molto carina e gentile, la signora con la S minuscola aveva tentato di convincere anche me. Ma non ci riuscì. La mia convinzione della necessità di collaborazione di ENTRAMBE le figure a concorrere nell'educazione dei Figli mi aveva tutelata dalla trappola.

Oggi conosco sempre più Padri alla riscossa. Papà che amano i propri Figli, ma non possono vederli né frequentarli perché le Madri vi si oppongono anche con mezzucci come certificati medici di presunte patologie dell'infante (fasulli?) o con accuse di maltrattamenti (che poi si rivelano false!).


Queste mediocrità, purtroppo, non vanno solo a detrimento dei Figli, ma anche dei Padri, e soprattutto delle donne stesse, quelle cui da piccole non venne raccontata abbastanza la favoletta del “AL LUPO AL LUPO”! I Giudici stanno smettendo di conferire loro in esclusiva i Figli. Finalmente agli uomini viene riconosciuta la loro dignità di PADRI.