sabato 14 febbraio 2015

CRIMINOLOGIA RESILIENTE

Nel corso dei miei ultimi 8 anni, durante le ricerche e gli studi del mio ambito, mi sono imbattuta in ben 3 criminologi.

Una, di cui non faccio nome per non darle pubblicità perché coinvolta in vicende processuali ancora in corso che la vedono implicata in manovre non specchiate nei confronti dei suoi stessi clienti, con uno stratagemma si impossessò dell'Associazione anti-pedofilia LA CARAMELLA BUONA, fondata dall'investigatore Dr. Dante Davalli, primo operatore delle FFOO ad aver arrestato un pedofilo in Italia in anni ancora non sospetti. Conosco personalmente Dante perché abbiamo partecipato entrambi nel 2011 ad un convegno B.A.C.A. come relatori. Mentre stimo moltissimo Dante, uomo schivo ma pervicace, per l'impegno profuso in una vita di contrasto fattivo ad uno dei più odierrimi crimini, poca fiducia mi suscita la criminologa perché troppo esposta televisivamente parlando, oltre che in preda al Botox. Una donna vanitosa che non perde occasione per vantarsi. Di cosa? Dei meriti altrui. Ad esempio, quelli di Dante. Lasciamo perdere le polemiche. Positività, sempre è il mio motto.

Il secondo criminologo è il prof. Paolo Giulini, serio e stimato professionista, che ha creato un pool di suoi pari per occuparsi clinicamente dei sex offenders all'interno dei tre poli carcerari milanesi. Ha inventato ed attuato negli ultimi 6 anni una metodica che permette a questi detenuti di non reiterare il reato per cui sono stati condannati. Di questi uomini, Giulini dice: Non sono malati, sono criminali seriali che pertanto vanno tutelati da se stessi, prima ancora delle vittime. Così che, una volta liberi, non tornino a mieterne. Lo conobbi durante un convegno cui assistetti per auto-formazione. Lo volli intervistare. Per ottenere un appuntamento con lui, mi rivolsi ad una delle ragazze volontarie che stavano in Reception. Questa ragazza si chiama Jenny Rizzo e siamo diventate amiche. Anche costei è laureata in criminologia. E' la "mia" terza criminologa. E' di lei che oggi voglio scrivere.

Scrittrice di un saggio breve sulle carceri (IL PENSIERO OLTRE LE SBARRE)  basato su sue esperienze espletate a contatto di galeotti e galeotte, che consiglio a chiunque abbia interessi in ambito sociologico, Jenny ed io abbiamo cominciato a frequentarci. Oggi sono ancora più orgogliosa di averla come amica, perché ha appena finito di confidarmi la storia di sua madre, donna resiliente.

Donnino di classe, tutta ricci e pepe, da poco passata la trentina, Jenny frequenta con passione le lezioni di una disciplina marziale di auto-difesa. Ha uno sguardo indagatore, si prodiga come volontaria per diversi progetti a sfondo sociale; è alla ricerca di un'occupazione che le permetta di guadagnarsi almeno il costo del metano per riscaldare casa; infatti vive in un appartamentino sopra a casa dei suoi, ma è il papà ad occuparsi delle spese gestionali. Pur di non gravare troppo sul bilancio familiare, Jenny tiene il riscaldamento spento. “Ci si conserva meglio!”, si giustifica con l'ironia che la caratterizza.

Avevamo programmato di recarci al PAC di Milano per godere di RI-SCATTI, una mostra fotografica realizzata coi lavori di 6 principianti. Il succo sociale del progetto è avvincente: infatti questi 6 signori sono senza tetto milanesi, coinvolti per tre mesi in un corso di fotografia assieme a tanti altri loro pari. Al termine del corso, sono stati invitati dagli organizzatori a realizzare foto reportage di Milano e delle situazioni di disagio che conoscono così bene. L'alta qualità artistica dei loro scatti ha permesso di trovare un RI-SCATTO sociale. Ora ciascuno ha un contratto a tempo determinato come fotografo. Infine, Jenny ed io ci siamo concesse una pizza e quattro chiacchiere confidenziali.

Ha preso l'abbrivio dal rendiconto sul bel bruno peloso resiliente, chiedendomi se mi avrebbe interessato la storia di sua mamma. Incuriosita, la invito a proseguire. Ma ne parlerò in altro post. Ciò che mi racconta però è la testimonianza delle sue radici da cui ha derivato l'insegnamento della RESILIENZA.
Ritengo che Jenny sia criminologa anche in virtù del vissuto materno, concentrata sulla voglia di trarre insegnamento dalla tragedia che scosse la vita delle sue ave e che però le ha permesso di crescere forte, curiosa, generosa, altruista, resiliente. Tutte caratteristiche che è possibile desumere direttamente dal suo blog.

Jenny Rizzo vi narra le sue esperienze da criminologa presso i detenuti. Riesce ad avvicendare con scioltezza pensieri personali (“sono diventata una criminologa, per poter essere più credibile nel settore penitenziario, non immaginando di quanto difficile fosse poi trovare un lavoro con queste caratteristiche”), valutazioni tecniche (“dal convegno odierno ne è uscito un manifesto, con alcune proposte che verranno presentate per “umanizzare” il carcere e permettere una maggiore cura degli affetti personali”. Seguono le proposte concrete), segnalazioni di disfunzioni istituzionali (“si chiude un decennio di progettazione sperimentale di successo, i detenuti però resteranno a contemplare il soffitto”). Il blog, come il suo saggio breve, rivelano quanto Jenny prenda a cuore il disagio degli strati più deboli della Società. Ed è questo il suo merito principale.

Curiosamente colleziona immagini di corridoi: ospedalieri, carcerari, residenziali, scolastici. Mi appaiono come canali del parto, o sono solo una visionaria da settimana enigmistica?

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