lunedì 23 febbraio 2015

IL PERDONO E LA MERAVIGLIA

A causa di un banale guasto al mio Iphone 5S (ne scrivo marca e modello perché voglio fare pubblicità comparativa a favore del Galaxy Samsung; di questi ne ho avuti ben tre, in 4 anni, mai dato problemi. L'unico Iphone invece, tanto decantato come il migliore, in meno di 6 mesi è finito già tre volte all'assistenza!), dicevo, a causa di un banale guasto, domenica sera stavo per seguire il consiglio dei Carabinieri di denunciare l'ex marito per violenza assistita da minore. Ma l'ho Perdonato in nome della mia Meraviglia.

Tutto nasce da un cambio di consuetudini. Per decreto del Giudice, il papà deve comprare un biglietto di Freccia Rossa per ogni tratta MI/TO quando arrivo in visita. Questa volta si è rifiutato perché, a suo dire, avevo rinviato, prendendo a pretesto l'operazione di asportazione del cancro al seno. Quindi mi acquista il viaggio con normale interregionale, mutando gli orari. Dal canto mio, per amore del quieto vivere di nostra figlia, taccio e salvo il tutto sull'Iphone. Va detto che la figlia dopo l'aneurisma che mi ha stesa, è stata collocata presso il padre in provincia di Torino, entrando in Val di Susa, collegata alla città da un treno ogni ora.

Quella sera, avrei dovuto riconsegnare Sofia come sempre. Ma senza Iphone, non ricordo bene gli orari. Ritengo di fare cosa giusta portarla all'orario consueto. Il papà non c'è. Lo chiamo grazie al telefono di una signora cliente del bar vicino alla stazione. L'attendiamo una mezzoretta. Entra come una furia. Inutilmente invitato con gentilezza a sedersi per parlare, mi ingiuria di fronte alla piccola. Lo invito alla calma e ad accompagnarmi in stazione a pochi metri di distanza per controllare insieme l'orario dei treni. Mi urla di nuovo contro, rifiutandosi. Tutti gli astanti si voltano sorpresi. Lo invito a controllare il mio telefono, perché guasto. Lo getta via.

La sceneggiata prosegue per strada, sotto gli occhi straniti di nostra figlia. Quando mi approccio alla stazione, tenta fisicamente di impedirmi l'accesso, strattonandomi e più volte tirando per un braccio la piccola.

Sì, avete letto bene e non è un errore di periodo. Pur essendo l'autore delle violenze, ha chiamato lui stesso le Forze dell'Ordine, dicendo che “io stavo rapendo la bambina”. Dice di essere in un bar. Alzo la voce in modo che i Carabinieri mi sentano. “Non andate nel bar, venite direttamente alla stazione, perché è là che stiamo andando”, dico ai Carabinieri.

Le suddette violenze sono avvenute davanti agli avventori del bar e per strada, con passanti che conosco di vista. Molti i testimoni contro di lui. Eppure. Questo dettaglio rilevante parla chiaro circa l'approccio a me da lui riservato. Quando anni fa negò di fronte al consesso di medici della piccola di avermi pestata a sangue, la neuropsichiatra di nostra figlia lo invitò già a curarsi. Fu lì che appresi uno degli elementi del copione: NEGARE SEMPRE.

Rivediamo la moviola. Fin dalle prime ore del mattino di domenica, avevo capito di dover reperire al più presto un caricatore per l'Iphone. Il mio si era appena disintegrato, credevo a causa del prolungato periodo di ricarica dell'Ipad di mia figlia. Purtroppo il papà ne ha dimenticato il caricatore specifico a casa, quindi, uso il mio, affinché la piccola stesse buona a tavola, col suo aggeggio carico.

Prima ancora di fare colazione, pertanto ci catapultiamo in città bassa alla Coop, dove non troviamo l'ambito elettronico. Poi reperito nell'unico altro negozio aperto alla “modica” cifra di 33 ero, pur non essendo originale.

Alle 9:30 siamo di nuovo in città alta, apro la confezione, metto l'Iphone in carica, ci rechiamo a fare colazione con il prezioso Ipad della cucciola, infine a Messa, come ogni domenica.

Alle 11 mi accorgo che l'Iphone restava scarico. Dunque non era un problema di caricatore, ma di terminale. Dalle 11,15 alle 12,40 Marco Molinero, gestore dell'Ostello del Conte Rosso che ci ospita quando vado a trovare mia figlia, si adopera in tutti i modi perché possa recuperare le info di viaggio conservate sul mio telefono. Tutto inutile, il biglietto del treno per la sera di domenica, che avevo ricevuto via posta elettronica, restava gelosamente custodito all'interno di quel guscio impenetrabile che è lo “smartphone” della Mela (smart? Smart??).

Mi rendo conto soltanto alla luce dei fatti della sera, che avrei dovuto subito messaggiare all'ex marito, di aver sbagliato a confidare solo nelle sue capacità di comprensione.

Pertanto, non potendo più accedere alle info del telefono, all'orario di norma prestabilito, ci rechiamo in stazione. Vedo partire sotto i miei occhi il consueto treno per Torino senza che il papà di mia figlia fosse presente a prenderla con sé. Armata di pazienza, fermo un ragazzo che, dal borsone dell'Alpignano calcio, presumo abbia appena terminato una partita. Sta aspettando qualcuno. Gli chiedo se posso usare il suo telefono. Mi dice di sì, che però ha finito i minuti della promozione e che pertanto si possono mandare solo messaggi. Ok, mando un messaggio all'ex marito, avvisandolo che ho lo smartphone rotto, che all'orario prestabilito eravamo già in stazione, che non capivo dove fosse finito. Sofia con calma gioca sull'Ipad. Non sono tesa, ma rassegnata. Sono anni che il mio ex marito mi ha abituata a questi tira e molla sugli orari e non mi arrabbio più da un pezzo.

Comincia a far freddo: per fronteggiare quello che ritengo un banale ritardo, ci spostiamo nel bar della stazione, dove reperiamo il telefono di una cliente che ce lo porge, dicendo subito di avere le telefonate gratis. Che gentile! Chiamo il papà della piccola e con calma gli dico che il mio telefono è rotto e che lo aspettiamo lì. Dopo una mezzoretta arriva, ma ha gli occhi fuori dalle orbite. Noi ci eravamo sedute nella sala grande e con serenità gli dico: Ciao, per favore, siediti qui con noi un attimo, così parliamo con calma.

Attorno a noi una coppia di giovani ed un tavolo con una famiglia dal passeggino. Ci guardano. Il papà di Sofia invece resta in piedi, mi investe, mi dice che è stufo dei miei giochetti in cui invento di aver il cellulare rotto (giochetti?), tenta di strapparmi la piccola dalle braccia. Mantenendo un tono pacato, gli dico: Scusa, ti ho invitato gentilmente a parlare. Lui: NO, NON PARLO CON TE! Una serie di ingiurie, le classiche che tutti gli uomini dicono alle donne quando non sanno come trarsi d'impaccio, cerca di portare via la piccola con la forza, dicendo che so benissimo che il mio treno per Torino è alle 19,45. Ribatto che non lo so, dato che invece del solito Freccia Rossa, mi ha comprato questa volta un normale interregionale TO/MI ad altro orario. E che, ribadisco, gli orari erano salvati nel TELEFONO ORMAI ROTTO.

L'ex marito usa una voce che definire alta è un eufemismo. Bariste ed avventori assistono alla scena con occhi sbarrati, la piccola si lamenta spaventata. Lascio le valige nel locale, con in braccio Sofia, dico: Andiamo tutti in stazione a controllare gli orari, per favore. Cerco di farmi seguire dal papà.
Che però a questo punto si blocca, chiama i Carabinieri, dice loro che sto rapendo la piccola e di essere nel bar, dico ad alta voce ai Carabinieri che sono invece in stazione, di raggiungermi là. L'ex marito fa dietrofront e prende la valigia della figlia, per portarla in auto. Nel frattempo verifico che c'è effettivamente un treno alle 19:45. Torno verso l'auto del papà, gli affido la bimba, vado nel bar a prendere la mia valigia, quindi torno in stazione.

Dove intercetto la pattuglia dei CC. Li fermo: Cercate il Rossi? (Non riporto il vero cognome del mio ex marito). Mi confermano. Ebbene, io sono quella che vorrebbe rapire a bambina. Si fermano e mi ascoltano. Racconto con dovizia di dettagli. Dico anche all'appuntato che l'ex mi aveva pestata a sangue anni fa. Che da questa violenza subita ho tratto una ricchezza, non di certo economica. Che ho lavorato 4 anni a fare ricerche nell'ambito dei maltrattamenti in famiglia per scriverne un saggio, CORPI RIBELLI. Che la mia casa editrice mi manda in giro per l'Italia a parlarne. Che sono invitata da Enti pubblici e privati per spargere le info necessarie ad uscire dalle violenze domestiche.

L'appuntato a questo punto sa di parlare con un'esperta. L'ex marito torna indietro e ci raggiunge. Fa capolino Sofia chiedendomi con voce rotta dal pianto: “Mamma, ma tu stai col Carabiniere?” Prontamente, costui le sorride e le dice: “Siamo amici, tua mamma ed io”. Io confermo. Poi invita il collega ad allontanarsi con il mio ex marito, per nasconderci dagli occhi di Sofia.

Pur avvisandomi di cercare un compromesso a favore della piccola, mi consiglia direttamente di querelare l'ex marito per ingiurie. Gli ribatto: “Guardi, alle ingiurie ci sono abituata! Se proprio devo fare una denuncia, sarà per violenze assistite dalla minore” Il Carabiniere approva.
Poi arriva il mio treno e mi spinge a prenderlo.

Corro, perché mai più vorrei perderlo. Sul teno sono affannata, forse più per la querela che vedo approssimarsi al mio orizzonte già tormentato che non per la corsa in sé. Resto come in trance per tutti i 40 minuti necessari ad arrivare a Torino, cercando di ricordare per filo e per segno i fatti, le testimonianze, i volti conosciuti che sanno dello smartphone scassato, quelli sconosciuti che mi hanno aiutata col proprio telefono o che sono testimoni della violenza assistita dalla minore. A come farmi rimborsare delle spese vive che stavo imputando all'ex marito, non solo del caricatore, ma anche per il riacquisto del biglietto TO/MI. Preparo mentalmente gli scontrini, una bozza di querela, i nominativi delle persone cui inviare un'email, la neuropsichiatra, la mia consigliera spirituale, la mia avvocata.

Sul treno Torino-Milano mi alimento col pane e salame acquistati il giorno prima, poi completo la lettura di uno di quei libri che mi fanno meditare e che, quindi mi piacciono tanto: LE INFRADITO DI BUDDHA, guida orientale per disorientati, di Zap Mangusta. Mi colpisce una frase che mi parla così: “Non vivere mai circondati dalle preoccupazioni e soprattutto non lasciare che diventino la norma. E, in quegli istanti, non permettere al passato di disturbarci. E al futuro di distrarci. Perché il passato non esiste più e il futuro non esiste ancora. Al contrario, vivere nei ricordi, così come nella immaginazione, significa vivere al di fuori della vita, andandosi a procurare una sicura dose di infelicità.”

In sostanza, dice di lasciarsi alle spalle le cose brutte, tanto ormai sono passate e non esistono più. Ed è lì, in quell'istante che decido di non querelare il papà di Sofia.

Però voglio anche lasciare una testimonianza, perché la faccia di Sofia era inequivocabile, quando mi ha vista bistrattata dal suo stesso papà.


Anche se l'ho perdonato, la mia Meraviglia dovrà sapere la verità. Mi sono liberata del passato scrivendo qui, per il futuro della mia Meraviglia.

3 commenti:

  1. :Salve...ho letto..e la seguo...posso..riuscire a dialogare con lei....
    ragazzo semplice

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    1. ti ho aggiunto su Google+, Eros Bianchini!
      Puoi anche cercarmi su FB come Stefi Pastori (Gloss), dove sono più di frequente
      Grazie per il following!

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