Secondo gli insegnamenti della yoga,
disciplina meditativa che pratico nella forma dell'ashtanga da quasi
una decina di anni, le quattro del mattino è l'ora con l'aria più
sottile, adatta alle tensioni più dinamicamente cerebrali della
giornata. Confermo! Spesso mi trovo a scrivere in questi orari
disumani con profitto tale che, diversamente, non troverei.
Sono uscita d'ospedale da poco.
Ricoverata, operata, dimessa in meno di 60 ore per l'asportazione di
un nodulino al seno sinistro nel reparto di ginecologia della Clinica
Mangiagalli di Milano. Noto con sorpresa che le donne sono solidali
solo quando parlano delle problematiche di salute femminile. Già nel
2002 fui farmacologicamente trattata per una gravidanza extra-uterina
in un ospedale nell'oscura provincia torinese. Ne conseguii medesima
impressione a tal punto da scriverne un musical dal titolo: DONNE
SUPERSTAR. Iniziai a metterlo in scena con la neonata compagnia di
attori, ma dovetti abbandonare per via dei fatti che hanno condotto
alla scrittura di CORPI RIBELLI – resilienza tra maltrattamenti estalking.
Allora a 38 anni nella provincia
torinese come oggi a 50 nella città milanese, ebbi la fortuna di
cogliere il sentimento unitario di aggregazione tra donne con
patologie femminili. Contro l'opinione baroneggiante dell'illustre
primario, che voleva “tagliare via tutto dato che ormai ero una
vecchia ciabatta” (cit.), caparbiamente volli sottopormi al
trattamento farmacologico che mi era stato proposto dal suo stesso
vice pochi istanti prima. Non vi erano in corso emorragie né
versamenti, avevo desiderio di altri figli, quindi ne avrei tratto
vantaggio. Risposi perciò a quel Barone della medicina: Si tagli le
sue, di palle! Alle mie ci tengo! Applausi (mentali) dalle altre
pazienti.
Da quel momento divenni la loro leader
naturale.
Vi era una marocchina incinta che aveva
vomitato sangue, si rivelò solo yogurt alla ciliegia.
Vi era un'altra extra-uterina
dell'Europa dell'Est, lei sì in crisi emorragica.
Vi era un'italiana con dolori
mestruali, pur non avendo mestruo.
Le ricordo tutte con affetto, sebbene i
loro applausi restarono solo mentali.
Vi restai una settimana. Ottenni il mio
scopo. Il primario mi definì: Coriacea. Quattro anni dopo nacque
mia figlia, non a caso Sofia.
A distanza di 12 anni e in altra città,
questa volta cosmopolita, le cose sono diverse: niente baronie,
almeno nei rapporti con le pazienti. Ma sempre tanta solidarietà tra
loro. Ho avuto ben poche ore da trascorrere in compagnia, ho potuto
ascoltare solo la storia della mia compagna di stanza e assistere ai
festeggiamenti di un'altra “inquilina a lungo termine” del
reparto. Non ho avuto il tempo di capire cosa festeggiasse, ma mi è
parso nobile che con un sacchetto di piscio pendente dal pantalone e
la faccia stravolta di una donna cui era appena stato asportato
l'utero, avesse voglia di festeggiare.
Anche alla mia compagna di camera era
stato asportato lo stesso organo riproduttivo. Quando entro nella
stanza, si lamentava flebilmente. Era provata. Stringeva la mano al
marito accudente. Tiro la tenda che ci separava per rispetto al suo
dolore. Il giorno dopo tocca a me di essere operata. Nel pomeriggio sto già benino
e lei, dopo 4 fiale di morfina, molto meglio. Finalmente mi azzardo a rompere il ghiaccio e conosco la sua storia di dolore;
superando la naturale diffidenza da napoletana trapiantata al
nord, dove si è sentita da quasi trent'anni rifiutata, si confida a
me, cuore ed utero. L'avevo creduta musona, invece.
Ed ecco le mie riflessioni. Poche
settimane fa un alto esponente politico della Regione Lombardia (non
faccio nomi perché è già stato ampiamente pubblicizzato sui
periodici) ha avuto un'infelice uscita circa la “malattia di essere
gay”. Malattia? Gay e non si sono rivoltati in massa, senza porre
tempo in mezzo. Sulla prima pagina del Corsera vi è una foto di un
amico mio che bacia il suo compagno mentre manifesta in piazza Gae
Aulenti. Sono orgogliosa di loro.
Però mi scatta una riflessione: alla
notizia dei tagli ai centri Anti-Violenza, noi donne siamo state
zitte. In ospedale, con le nostre malattie, tutte solidali. Fuori, con
le malattie della società, zitte, ognuna per sé.
PERCHE'?
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