Fin dal primo momento in cui presi in
considerazione per me stessa il divorzio, sapevo di essere in errore.
Però sapevo anche che un marito amato e stimato, di lì a pochi mesi
padre di nostro figlio concepito nell'Amore, non avrebbe dovuto
smettere di considerarmi l'incarnazione dell'eterno femminino, donna,
madre, amante, moglie, sorella, compagna. Soprattutto, so che avrebbe
dovuto starmi vicino nel momento più magico di una coppia: l'arrivo
di una nuova vita, frutto del suo amore.
Da credente e praticante qual'ero, a 21
anni vi arrivai vergine e a 23 rifiutavo l'idea della dissoluzione
del legame divino. Eppure, sentivo di avere tutta la vita davanti e
di meritarmi di essere ancora amata appieno. Ero dilaniata tra la
voglia di restare unita all'uomo che mi stava rendendo madre e quella
di staccarmi dall'uomo che aveva smesso di amarmi. Incredibilmente
per i miei occhi, questi due uomini erano la stessa persona.
Soltanto dopo anni, scoprii che
quell'uomo mi tradiva con una delle mie amiche. Scoprii anche con
amarezza che tutti sapevano, tranne me. Eppure tra noi non mancò mai
il dialogo. Volevo capire, lui non me lo consentì. Ci concedemmo
qualche tempo per riflettere assieme sul cambiamento, ma lui mai
ammise di avere un'altra donna. Si occupò molto teneramente di
nostro figlio. Non ebbe mai la tenerezza di avvisarmi cosa stesse
cambiando dentro di sé. Un contrasto che pativo. Pur amandolo, dopo
un anno decisi che era una situazione insostenibile. Chiesi di
separarci presso un avvocato.
Fissammo l'appuntamento. Non contenta,
una settimana prima, proposi ancora di intraprendere un percorso di
aiuto psicologico di coppia. In risposta, lo vidi andarsene col
figlio in vacanza. Li raggiunsi e soltanto là capii di essere
tradita. Finalmente un anno di tormenti personali trovò soluzione.
Divorziammo. E divorziai anche dalla Chiesa.
A distanza di anni, e superato un
secondo matrimonio civile, ancora mi interrogo e interrogo chi più
di me, può saperne. Di recente, sono stata ospite a Bisceglie di una
Pastora Evangelica, Laura Pezzoli, con cui mi sono confrontata su
questi temi per me brucianti. Non solo per il mio stesso vissuto, ma
perché alle donne in procinto di separarsi, mai vorrei dare un
consiglio sbagliato.
Si conciliano maltrattamenti tra pareti
domestiche e proibizione del divorzio per un legame in seno alla
Chiesa? No, non si conciliano.
Nell'Antico Testamento vi sono alcuni
passaggi in cui è detto chiaramente che Dio odia il divorzio, ma
odia anche la violenza e fra le due cose sbagliate, sceglie e indica
quella meno sbagliata, ovvero il divorzio. La conseguenza
ultima della violenza, infatti, è l'ammazzamento.
In particolare, in Malachia 2:14-16:
Poiché l'Eterno, il DIO d'Israele, dice che egli odia il divorzio e
chi copre di violenza la sua veste”, ho chiesto maggiori
delucidazioni alla Pastora, che mi dice: “Dio ha stabilito come
piano per portare avanti l'Umanità, la famiglia, quello che meglio
funziona, ovvero una donna ed un uomo che si uniscono davanti a Dio,
vergini, venendosi incontro nelle loro imperfezioni, per tutta la
vita. Però non sempre funziona così, come ben sappiamo tutti.
Rapporti prematrimoniali, tradimenti, violenze, ecc. Quindi, pur
odiando il divorzio come evento che ci fa del male in quanto essere
viventi, Dio odia più la violenza perché preferisce vederci vivi e
divorziati che ancora coniugati, ma MORTI”.
Volendo un parere anche dalla mia
consigliera spirituale, la suora francescana Margherita Di Blasio,
che ospitò mia figlia e me dopo il pestaggio, nonché prefatrice del
mio saggio CORPI RIBELLI, le ho rivolto la stessa domanda. Mi ha
scritto: “Tesoro, non ora: sto facendo ballare sulle ginocchia due
pupetti”. Sapendo che sono figli di maltrattate, la conosco
abbastanza da poter ritenere che tra le sue parole si annidi ben
altro messaggio: “Tesoro, ho ben altro di cui occuparmi ora che non
delle tue paturnie”.
In conclusione: anche in caso di
matrimonio contratto davanti a Dio, il motto è sempre valido.
Via dalle violenze domestiche prima che
sia troppo tardi.
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