martedì 27 gennaio 2015

DIVORZIO&CHIESA

Fin dal primo momento in cui presi in considerazione per me stessa il divorzio, sapevo di essere in errore. Però sapevo anche che un marito amato e stimato, di lì a pochi mesi padre di nostro figlio concepito nell'Amore, non avrebbe dovuto smettere di considerarmi l'incarnazione dell'eterno femminino, donna, madre, amante, moglie, sorella, compagna. Soprattutto, so che avrebbe dovuto starmi vicino nel momento più magico di una coppia: l'arrivo di una nuova vita, frutto del suo amore.

Da credente e praticante qual'ero, a 21 anni vi arrivai vergine e a 23 rifiutavo l'idea della dissoluzione del legame divino. Eppure, sentivo di avere tutta la vita davanti e di meritarmi di essere ancora amata appieno. Ero dilaniata tra la voglia di restare unita all'uomo che mi stava rendendo madre e quella di staccarmi dall'uomo che aveva smesso di amarmi. Incredibilmente per i miei occhi, questi due uomini erano la stessa persona.

Soltanto dopo anni, scoprii che quell'uomo mi tradiva con una delle mie amiche. Scoprii anche con amarezza che tutti sapevano, tranne me. Eppure tra noi non mancò mai il dialogo. Volevo capire, lui non me lo consentì. Ci concedemmo qualche tempo per riflettere assieme sul cambiamento, ma lui mai ammise di avere un'altra donna. Si occupò molto teneramente di nostro figlio. Non ebbe mai la tenerezza di avvisarmi cosa stesse cambiando dentro di sé. Un contrasto che pativo. Pur amandolo, dopo un anno decisi che era una situazione insostenibile. Chiesi di separarci presso un avvocato.

Fissammo l'appuntamento. Non contenta, una settimana prima, proposi ancora di intraprendere un percorso di aiuto psicologico di coppia. In risposta, lo vidi andarsene col figlio in vacanza. Li raggiunsi e soltanto là capii di essere tradita. Finalmente un anno di tormenti personali trovò soluzione. Divorziammo. E divorziai anche dalla Chiesa.

A distanza di anni, e superato un secondo matrimonio civile, ancora mi interrogo e interrogo chi più di me, può saperne. Di recente, sono stata ospite a Bisceglie di una Pastora Evangelica, Laura Pezzoli, con cui mi sono confrontata su questi temi per me brucianti. Non solo per il mio stesso vissuto, ma perché alle donne in procinto di separarsi, mai vorrei dare un consiglio sbagliato.

Si conciliano maltrattamenti tra pareti domestiche e proibizione del divorzio per un legame in seno alla Chiesa? No, non si conciliano.

Nell'Antico Testamento vi sono alcuni passaggi in cui è detto chiaramente che Dio odia il divorzio, ma odia anche la violenza e fra le due cose sbagliate, sceglie e indica quella meno sbagliata, ovvero il divorzio. La conseguenza ultima della violenza, infatti, è l'ammazzamento.

In particolare, in Malachia 2:14-16: Poiché l'Eterno, il DIO d'Israele, dice che egli odia il divorzio e chi copre di violenza la sua veste”, ho chiesto maggiori delucidazioni alla Pastora, che mi dice: “Dio ha stabilito come piano per portare avanti l'Umanità, la famiglia, quello che meglio funziona, ovvero una donna ed un uomo che si uniscono davanti a Dio, vergini, venendosi incontro nelle loro imperfezioni, per tutta la vita. Però non sempre funziona così, come ben sappiamo tutti. Rapporti prematrimoniali, tradimenti, violenze, ecc. Quindi, pur odiando il divorzio come evento che ci fa del male in quanto essere viventi, Dio odia più la violenza perché preferisce vederci vivi e divorziati che ancora coniugati, ma MORTI”.

Volendo un parere anche dalla mia consigliera spirituale, la suora francescana Margherita Di Blasio, che ospitò mia figlia e me dopo il pestaggio, nonché prefatrice del mio saggio CORPI RIBELLI, le ho rivolto la stessa domanda. Mi ha scritto: “Tesoro, non ora: sto facendo ballare sulle ginocchia due pupetti”. Sapendo che sono figli di maltrattate, la conosco abbastanza da poter ritenere che tra le sue parole si annidi ben altro messaggio: “Tesoro, ho ben altro di cui occuparmi ora che non delle tue paturnie”.

In conclusione: anche in caso di matrimonio contratto davanti a Dio, il motto è sempre valido.

Via dalle violenze domestiche prima che sia troppo tardi.

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